Il linguaggio è ideologico: lo sa bene chi ha studiato i complottismi (e tenta di difenderci) – Lello Voce da “Il Fatto Quotidiano”
Hai voglia a dire che le parole non sono le cose, che è anche vero (direi verissimo), ma è altrettanto vero che le parole, soprattutto oggi, influenzano il giudizio che diamo delle cose, la loro analisi, la nostra critica. Cioè il linguaggio è ideologico, è il luogo per eccellenza dell’inverarsi di qualsiasi ideologia e né la scienza, né, tantomeno, la politica ne sono esenti. Che le ideologie siano morte, o che siano sostituibili da una nuova forma di “positivismo selvaggio” è una favola che già decenni di storia si sono occupati di disinnescare. Di questo discutono, in modi diversi e con scopi diversi, i due splendidi testi di cui voglio parlarvi.
La Q di Qomplotto (Edizioni Alegre), di Wu Ming 1, è una possente, efficace, indispensabile, informatissima analisi di ciò che chiamiamo “complottismo”, delle “narrazioni tossiche” che stanno da anni inquinando la comunicazione di massa, mescolando deliri e fake news, mettendo paure ataviche a reagire con menzogne politiche, avvelenando – con conseguenze molto pratiche, come l’invasione del Campidoglio americano o una triste serie di omicidi e azioni terroristiche – l’immaginario collettivo.
Come qualcuno ricorderà, quando si iniziò a parlare di Qanon, del Deep State (con annessi e connessi: Hilary Clinton antropofaga, Tom Hanks pedofilo, la vicenda del Pizza Hut, eccetera), delle sue Qdrops che invadevano i social, qualcuno ipotizzò che chi aveva creato quella macchina infernale si fosse in qualche modo ispirato al primo dei libri del collettivo di autori Wu Ming, che si intitolava per l’appunto Q e, inoltre, i Wu Ming erano stati gli unici, in tempi non sospetti, a smontare la vicenda dei Bambini di Satana, a dimostrare come dietro quell’azione giudiziaria non ci fossero che menzogne.
Wu Ming 1 ci regala oggi un’opera di grandissimo valore, ricostruendo con perizia quanto è avvenuto e tentando di individuare una serie di aspetti ricorrenti che ci permettano di riconoscere ciò che il Collettivo di autori definisce “narrazioni tossiche” e le loro conseguenze “materiali”. Si tratta di un tentativo, assolutamente riuscito, di sequenziare il “genoma” virale di Qanon, di dimostrare, senza ombra di dubbio, come le “fantasie di complotto” siano invece assolutamente funzionali a quel potere che fingono di attaccare.
Ma Wu Ming 1 è un intellettuale troppo accorto per limitarsi a questo, la sua analisi riguarda anche il ruolo e i risultati dei cosiddetti “debunker“, di coloro cioè che passano il proprio tempo a “smontare” i “complottismi”, ricordandoci che spesso e volentieri la loro azione è inutile, se non dannosa (ma su questo, come sulla gestione mediatica e politica della pandemia, è certamente utile anche il pamphlet di Andrea Miconi, Epidemie e controllo sociale, edizioni manifestolibri).
Né la pandemia è assente, ovviamente. La definizione di Ratio-Suprematismo individuata da Wu Ming 1 sembra attagliarsi perfettamente a certi atteggiamenti della pletora di virologi, epidemiologi, infettivologi che hanno invaso la semiosfera comunicativa, mano nella mano ai soliti economisti (in patente assenza di filosofi, sociologi, e persino clinici, cioè medici, tutti diventati muti fantasmi) e la “sindrome del foratore di palloncini” proposta nel testo descrive, con un’eziologia impeccabile, il lavoro di tanti operai dei social che si illudono di combattere sotto bandiere galileiane, mentre militano tra le avanguardie neo-aristoteliche.
Tutto ciò Wu Ming 1 lo fa come al solito mescolando magistralmente controinchiesta giornalistica, vicende personali, narrazione, fatti e interpretazione critica dei fatti, permettendo sempre al lettore di entrare nel suo laboratorio, di essere a giorno delle scelte (artistiche e “politiche”) del suo autore. Con il risultato di realizzare quello che giudico un piccolo capolavoro, un libro che resterà indispensabile per comprendere meglio ciò che sta accadendo nel mondo e al “nostro” mondo. E quindi di potercene difendere.