Il male del secolo è il “Qomplotto” – Antonio Coda da “Pangea”
da Pangea
Una inchiesta sull’Anonimo Q firmata Wu Ming 1, pseudonimo dell’autore appartenente al collettivo Wu Ming che nel 1999 pubblicò sotto il nome molteplice Luther Blissett il romanzo storico Q: come incipit vale quanto un tourbillon postmoderno, invece al solito è tutto vero. La Q di Qomplotto edito da Alegre è il libro-inchiesta-ricostruzione che aspettavo da anni, da quando l’ultima versione del caos globale aveva assunto una snervante aria di famiglia cioè di cose già viste cioè di storie già lette pronte a prendersi un’altra delle loro vendette contro i popoli che non leggono più. È un libro ricco e esteso che all’urlo di battaglia culturale ‘storicizzare sempre’ tenta la radiografia del gomitolo aggrovigliato degli eventi, contemporanei per modo di dire siccome a saperli leggere bene si torna indietro di secoli, non per questo finendo a sguazzare nell’esoterismo d’Egitto: le conoscenze occulte e antiche sono invenzioni, falsificazioni, tutto sommato moderne anche loro, non si va più in là del Rinascimento tante volte: le paranoie cospirazioniste made-in-USA sono per lo più un ritorno a casa degli spettri narrativi europei, amplificate questa volta dalle tecnologie disponibili del mondo nuovo: funziona come per i virus, più il mondo è strettamente interconnesso più è facile esporlo tutto al rischio di contagio.
Provo a seguire uno solo dei suoi tanti fili rossi, il filo che conferma come nessuna storia sia innocua e come, in tempi dichiarati di morte della civiltà del libro, la civiltà invece sia continuamente messa sotto scacco dai libri, certo non quelli del canone, delle classifiche, quelli consigliati, sorvegliati, quelli imposti da studiare impedendoti di accedervi per il solo piacere che danno. La minaccia proviene dagli snobbati libri di successo. Se non riesci a districartane con quel filo puoi immobilizzarti da te, addirittura strangolartici. Accanto a una linea di romanzi pensati criticamente per rendere manifesto il cortocircuito della ragione ai tempi della comunicazione selvaggia (piccolissima bibliografia: L’incanto del lotto 49, Thomas Pynchon, 1966; Il pendolo di Foucault, Umberto Eco, 1988; Q, Luther Blissett, 1999) ne esiste una molto più profonda e ramificata che ha consentito il proliferare degli spaventi più viscerali, il diffondersi delle leggende metropolitane che in un tempo dove vale dire che il mondo è paese furoreggiano senza impedimenti fino all’ultima delle zone rurali: dalla vicenda di Guglielmo di Norwich raccontata da Tommaso di Monmouth nel 1144 a Michelle Remembers pubblicato nel 1980 a firma di moglie, Michelle Smith, e futuro marito e suo psichiatra al momento dei ‘fatti’, Pazder. L’armamentario retorico che ben presto diventa ideologico il cui sunto del discorso è: il male è grande e mondiale e scellerato e perverso, è efficientissimo, superorganizzato, ma ha il punto debole di avere nomi e cognomi propri e quindi recapitabilità fisiche: perciò può essere smantellato, annientato una volta per tutte! Possiamo essere liberati dal male e chi ci convince della concretezza di questa possibilità diventerà il nostro eroe e dunque, in tempi apparentemente meno mitici come i nostri, il nostro amato influencer, il nostro intoccabile leader da tener lì finché dura senza tenere il conto dei mandati. Il male metafisico e globale è il miglior apripista per le canaglie a piccolo punto della porta accanto pronte a vantarsi di poter uccidere il drago, di starlo uccidendo, di stargli giusto per sferrare il colpo letale, in una scena del moribondo che non muore mai degna dei B movie che hanno fatto la felice ossessione di Tarantino. Nel libro si sente fortissimo il bisogno umano che attraversa i secoli di vedere confermata la propria fede nell’esistenza del male e si sa com’è fatta la mente, quanto non sia una semplice questione di manipolabilità: si lascia fare quello che vuole che le sia fatto e vuole le sia fatto credere che da una pizzeria si accede a un mondo sotterraneo pieno di bambini rapiti e seviziati da uomini e donne potentissimi della politica e dello spettacolo mai sazi di strage per poter distillare il preziosissimo adrenocromo il quale adenocromo è un composto chimico che si vende tranquillamente in farmacia ottimo com’è per la cura delle emorroidi, il vero male del secolo, un disturbo che colpisce maggiormente chi passa troppo tempo seduto, magari davanti a un portatile a cercare le informazioni che gli restituiranno il miraggio del senso complessivo che piace a lui, e cosa vuoi che sia l’evidenza fattuale della pizzeria che non ha affatto lo scantinato? Se non è lei sarà la prossima, si troverà sempre una pizzeria da additare tramite cui si accede all’inferno in terra, ci saranno sempre quelli pronti a darti le indicazioni, a dirti gli indizi, a favorirsi le visualizzazioni e i propri piccoli e fragili imperi economici fondati sulla tua angoscia e sulla tua umana necessità di scaricarla addosso al primo faccia da agnellino o da caprone a tiro.
Wu Ming 1 rintraccia i resti di ‘controcultura andata a male’, raccoglie la ‘sporcizia segnica’ lasciata in giro, formula un discorso il più completo possibile preoccupandosi di dare ritmo e composizione al libro stesso che si struttura essenzialmente in tre grandi blocchi: una prima parte dell’impronta saggistica è più strettamente legata alla disamina delle tecniche del complotto, fornendo criteri ragionevoli per distinguere tra complotti reali e complotti fantasticati, tra ipotesi di complotto e fantasie di complotto, e al loro forte e spesso mortifero impatto nella società statunitense; la centrale di bell’impeto balestriniano invece si concentra sul passato recentissimo, su come la situazione-pandemia abbia consentito una propagazione come pure uno smascheramento degli effetti-di-realtà delle logiche paranoiche (logica e paranoia non sono necessariamente termini in contraddizione ed è all’interno di questa ambiguità che avvengono i processi di dissociazione cognitiva); una parte finale che è allo stesso tempo lavoro filologico e omaggio al romanzo pendolare di Umberto Eco, un ritorno alla tecnica del romanzo. Le storie, quando non vengono riconosciute per ciò che sono e dunque delle storie, infrangono il limite della pagina e diventano vere-presenze mai innocue, d’altronde innocue non lo sono mai, né fuori dallapagina né dentro.