L’Italia fascista, e il peso di quei crimini rimossi – Davide Conti sul “il manifesto”
Davide Conti – il manifesto – 22 gennaio 2025
Quella dei crimini di guerra italiani nel secondo conflitto mondiale è una storia che per decenni è stata stretta dalle ferree maglie della «ragion di Stato» e per questo accompagnata da censure preventive, processi penali e gogne mediatiche ai danni di chiunque osasse sollevare il velo su massacri, stragi, deportazioni di civili, torture, stupri e devastazioni operate dalle truppe del regio esercito e dai battaglioni delle camicie nere in Africa, Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia, Unione Sovietica. La Guerra Fredda, le necessità della ricostruzione del Paese e l’anticomunismo di Stato determinarono un correlato che impose la messa in mora della rielaborazione del passato fascista favorendo tanto l’impunità per i criminali di guerra italiani quanto la continuità di uomini e istituti nella transizione dal regime alla Repubblica democratica.
ALL’ALBA degli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della divisione bipolare del mondo, ebbe finalmente inizio, in modo lento e non privo di convulsioni, la messa in discussione del falso mito degli «italiani brava gente». Ci fu un momento preciso in cui ciò avvenne ovvero quando nel 1992 la lunga inchiesta condotta per oltre un decennio dal giornalista Michael Palumbo produsse un libro dal titolo eloquente L’Olocausto rimosso. I crimini di guerra italiani in Africa e nei Balcani che la casa editrice Rizzoli (che ne aveva già dato alle stampe le copie) preferì mandare al macero piuttosto che distribuire.
Lo stesso destino seguito dall’altro lavoro di Palumbo, Fascist legacy – l’eredità fascista -, un documentario televisivo realizzato per la rete inglese Bbc e comprato in Italia dalla Rai che a tutt’oggi non è mai stato trasmesso dalla tv pubblica. Per questo a distanza di anni è certamente meritoria la ripubblicazione del volume di Palumbo ad opera della casa editrice Alegre che lo propone (grazie al lavoro di recupero di Ivan Serra che firma anche la postfazione, pp. 416, euro 20; la traduzione è di Paola Tornaghi) con un nuovo titolo Le atrocità di Mussolini. I crimini rimossi dell’Italia fascista e l’introduzione di Eric Gobetti.
Il libro assume una valenza propria per due ragioni: perché viene edito in Italia ovvero il Paese che ha dato i natali al fascismo e che oggi è governato da un partito che rivendica la sua radice identitaria nel Msi che fu la raccolta postbellica dei fascisti di Salò; perché si colloca in un contesto pubblico e in un quadro d’insieme schizofrenico che ha completamente scisso il sapere storico (amplissimo è ormai il ventaglio di studi e ricerche scientifiche che nel corso degli anni ha affrontato in modo rigoroso e autorevole il tema dei crimini di guerra italiani) dal senso comune dell’opinione pubblica che persevera, grazie anche alla retorica autoassolutoria delle istituzioni, a considerare i «buoni italiani» incapaci di compiere quelle violenze che semmai sono propensi a mettere in capo ai tedeschi quando non direttamente ai partigiani, siano essi jugoslavi o russi; italiani o greci.
Così Angelo Del Boca, uno dei pionieri della ricerca sui crimini italiani in Africa, fu costretto a sopportare per anni non solo i falsi propalati da istituzioni e «maestri di giornalismo» (che negavano l’uso dei gas all’iprite da parte delle truppe di Pietro Badoglio in Etiopia) ma anche gli insulti e le accuse di «anti-italianità».
LUI CHE, DA PARTIGIANO, aveva contribuito a restituire dignità a quella parola dopo la vergogna del fascismo. Scorrendo le pagine del libro ritornano i nomi delle migliaia di criminali italiani iscritti nelle liste delle Nazioni Unite al termine della guerra e mai processati in una Norimberga nazionale. Una sanzione che al di là della sua dimensione penale avrebbe, se non altro, da un lato impedito a certe figure (oggi ascese ai più alti vertici dello Stato nato dalla Resistenza) di insultare deliberatamente la lotta partigiana tanto in Italia quanto nei Balcani e dall’altro al nostro Parlamento di istituire per legge e con consenso bipartisan un cosiddetto calendario civile che sembra fatto più per obliare il nostro passato scomodo invece che per fare i conti con la storia patria.
UN CALENDARIO da cui sono stati cancellati eccidi come quelli di Podhum (Jugoslavia 12 luglio 1942), Domenikon (Grecia 16 febbraio 1943) e Mallakasha (Albania 14 luglio 1943) o campi di internamento come quello di Rab in Dalmazia dove le truppe italiane deportarono decine di migliaia di persone e ne fecero morire millecinquecento.
Un libro, dunque, che si pone come strumento senza dubbio molto utile in un momento in cui l’analfabetismo storico continua non solo ad essere diffuso da larga parte dei mass media ma soprattutto ad alimentare quel «presente senza storia» che oggi è il terreno di proliferazione delle istanze regressive che caratterizzano il tempo che viviamo.