Recensione di Ulderico Daniele su Micromega
Ulderico Daniele
(Da Micromegaonline del 24/10/2012)
Al di là di qualsiasi valutazione politica o morale, e a prescindere, se mai possibile, dalla spessissima coltre di pregiudizi che ricopre la “questione zingari”, il libro che Carlo Stasolla ha pubblicato per i tipi di Alegre ha un pregio fondamentale: il volume descrive con dovizia di particolari gli interventi realizzati a Roma verso i “nomadi” negli ultimi quattro anni, rivelando, grazie ad un prezioso lavoro di indagine e di documentazione, gli ingenti stanziamenti economici e raccontando al lettore le conseguenze delle rituali emergenze che i rom pagano “sulla pelle”.
Se confrontato al quadro spesso deprimente dell’informazione nel nostro paese e alla difficoltà che la ricerca scientifica ha di essere riconosciuta come strumento utile all’elaborazione delle politiche, il volume merita una ampia visibilità e una attenzione non superficiale da parte della classe politica, chiamata a non commettere gli stessi drammatici errori del passato, e da parte degli elettori, che potranno quantificare i costi, economici e sociali, che la comunità paga quando cede alle ossessioni della sicurezza e del controllo.
Questa operazione culturale e politica, frutto del lungo lavoro di indagine che Stasolla e i suoi collaboratori dell’Associazione 21 luglio portano avanti da diversi anni, risulta ancora più meritoria perché permette di vedere sotto una luce diversa un tema come quello di “zingari” e “nomadi” che storicamente, come segnalato nell’introduzione dall’antropologo Leonardo Piasere, ha funzionato da terreno di esercizio delle peggiori forme di razzismo e che negli ultimi anni è stato innalzato, come racconta l’autore, a strumento elettivo per raccogliere un facile consenso elettorale.
Il tema principale di interesse è il Piano Nomadi della giunta Alemanno, elaborato e realizzato all’interno dello Stato d’Emergenza dichiarato dal governo Berlusconi e recentemente difeso anche dal governo tecnico di Monti & Riccardi. Di questo “rivoluzionario” piano di interventi, presentato dall’allora ministro Maroni come una “buona pratica a livello europeo”, l’autore rintraccia le origini in quella lunga “notte della ragione” che a cavallo fra 2007 e 2008 ha preparato le elezioni politiche e amministrative a suon di episodi di cronaca nera che vedevano sempre i rom come colpevoli di atti efferati e disumani: dal tentato rapimento di un bambino a Ponticelli, rivelatosi in seguito come un affaire molto più complesso che nascondeva interessi camorristici e piani di riqualificazione, all’omicidio della signora Reggiani a Roma.
A questi eventi sono immancabilmente seguiti incredibili episodi di razzismo popolare, la cacciata dei rom di Ponticelli e l’incendio dei campi festeggiato da schiere di cittadini, ma anche iniziative politiche di stampo sempre più repressivo: l’emanazione da parte del governo Prodi del decreto n.181 fortemente voluto dall’allora sindaco Veltroni che limitava il diritto al libero movimento dei cittadini rumeni e ne facilitava l’espulsione, e poi la dichiarazione dello Stato d’Emergenza da parte del neoeletto governo Berlusconi, a cui sono seguiti i famigerati censimenti dei rom e, a Roma, il Piano Nomadi di Alemanno.
A quattro anni dall’emanazione di questo Piano, il bilancio che il volume di Stasolla presenta appare drammatico, soprattutto in tempi di spending review: 60 milioni di euro investiti per poco meno di 8000 rom residenti in città; quattro vecchi campi-nomadi chiusi, al costo dell’aumento dei residenti in alcuni grandi insediamenti che hanno già attirato le attenzioni e le denunce di numerosi organismi e istituzioni internazionali perché collocati al di fuori del perimetro urbano ed in pessime condizioni igieniche; un nuovo mega campo costruito ancora fuori città, per una spesa di soli 10 milioni di euro; centinaia di operazioni di sgombero degli insediamenti informali, quelli dove hanno perso la vita 5 bambini negli ultimi tre anni, che, al costo di diverse centinaia di migliaia di euro per il contribuente, hanno portato semplicemente alla ulteriore moltiplicazione degli insediamenti; infine, nessun visibile miglioramento né sul piano della legalità e della sicurezza per la cittadinanza, né, se a qualcuno interessa davvero, sul piano dell’integrazione dei rom.
Ma accanto a questo importantissimo lavoro di indagine, che dovrebbe far riflettere sui costi e sulle conseguenze delle politiche elettoralistiche basate sulla sicurezza, il lavoro di Carlo Stasolla ha anche un altro merito fondamentale. Il testo mostra che la politica di allontanamento dei rom dalla città, la loro separazione e il loro concentramento nei “campi nomadi” rappresenta un elemento di forte continuità che lega senza differenze rilevanti gli interventi promossi da Alemmano a quelli dei suoi predecessori sullo scranno capitolino: i “buonisti” Veltroni e Rutelli, anche loro autori di piani risolutivi per “il problema nomadi”.
Il libro di Stasolla mostra come le ormai decennali politiche di espulsione e di concentramento dei rom nei campi-nomadi, mentre da un lato aggravano la condizione di segregazione dei rom ostacolando i percorsi di inclusione sociale, hanno creato, dall’altro lato, un sistema largo di interessi che si nutre delle risorse pubbliche investite e sopravvive nell’opacità grazie alle proroghe e alle procedure d’emergenza. Le transizioni per l’acquisto o l’affitto delle aree su cui vengono costruiti i campi-nomadi, l’acquisto e la manutenzione di container da 30 mq. dove vivono famiglie di 8 persone, l’acquisto della strumentazione per la videosorveglianza, i servizi di guardiania e di vigilanza e infine i progetti sociali che, anche questi a prescindere dalle diverse amministrazioni, si ripetono uguali a se stessi nei campi-nomadi, sono le principali voci di spesa di un modello di interventi che porta a spendere circa 250 euro al mese per ciascun individuo, senza alcuna valutazione dei risultati effettivamente raggiunti.
Di questo sistema che, come racconta l’autore, ha un fatturato paragonabile a quello di una media-grande impresa, non partecipano soltanto una serie di soggetti politici, imprenditoriali e associativi collegati a tutto il panorama politico-ideologico romano (dalla sinistra cooperativa, al mondo cattolico, fino alle neonate associazioni di destra), ma anche una fascia di rom “collaborazionisti”, pronti ad accettare qualsiasi inasprimento delle politiche in cambio delle briciole, a volte anche avvelenate, delle fette di finanziamento spartite sui tavoli delle amministrazioni.
In fondo a questo sistema si trovano, invece, le decine di operatori sociali, impiegati con contratti a progetto che durano pochi mesi, pagati, sempre in ritardo, molto meno di dieci euro l’ora, per un servizio di frontiera che raramente, date queste condizioni strutturali, può innescare cambiamenti. In fondo a questo sistema ci si trovano, soprattutto, le tante decine di rom che non partecipano della spartizione e che in alcuni momenti hanno dato vita ad inediti episodi di “resistenza”, come quello della Basilica di San Paolo durante la Pasqua 2011. Rom che si trovano immobilizzati da una rete di pregiudizi, di atteggiamenti strumentali e razzisti, di violenze simboliche e materiali, che li costringono a vivere, e a morire, all’interno di quel buco nero dei diritti e della cittadinanza che sono i campi-nomadi a Roma.