Tsipras chi? di Alessandro Gilioli (da L’Espresso.it)
Che cosa ha reso Alexis Tsipras il nuovo leader riconosciuto della sinistra europea, che secondo tutti i sondaggi porterà a Bruxelles una settantina di eurodeputati, diventando la terza forza continentale dopo Socialisti e Popolari? E come ha fatto questo ingegnere civile dall’eloquio pacato ma trascinante a diventare in pochi anni il politico più popolare della Grecia, accreditato di una possibile vittoria alle prossime elezioni del suo Paese?
A gettare un po’ di luce sul personaggio è un nuovo libro-inchiesta di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena, giornalisti entrambi, il primo di ‘Repubblica’ e il secondo di ‘Micromega’: si intitola ‘Tsipras chi?’ ed è appena uscito per l’editore Alegre (125 pagine, 12 euro).
La prima risposta alle domande di cui sopra, quella che viene spontanea dopo la lettura del libro, è semplice: Tsipras ha cambiato tutto.
E prima di tutto ha cambiato i linguaggi e le pratiche della sua stessa area di provenienza politica, la sinistra radicale: anche in Grecia, come da noi, dominata per decenni da politici novecenteschi, autoreferenziali, rissosi e sostanzialmente dimentichi della missione di fondo che credevano di interpretare, cioè lavorare ogni giorno per una ripartizione meno spaventosamente iniqua delle ricchezze e dei redditi.
Alexis Tsipras, classe 1974, inizia il suo percorso politico giovanile proprio al fianco delle “mummie” della sinistra greca: nel Kke, il partito comunista ortodosso, già stalinista e comunque ancorato al marxismo-leninismo. Ma è un eretico e un movimentista, sicché se ne distacca presto per passare a una formazione nuova nella galassia della sinistra locale, il Synaspismós, dove pure rappresenta l’ala più anticonformista e innovativa.
Nel 2001 cerca di venire in Italia, per il G8 di Genova, ma con i suoi compagni viene bloccato ad Ancona dalle nostre forze dell’ordine e rispedito ad Atene. Si rifarà due anni dopo, organizzando le proteste di piazza contro il Consiglio Europeo di Salonicco, che rappresentano un po’ l’atto di nascita della nuova sinistra in Grecia.
È così che nel 2006 Tsipras si lancia come candidato sindaco di Atene con una lista, Città aperta, che tenta di raccogliere le diverse anime della sinistra radicale in città: raccoglie un risultato record, oltre il 10 per cento, andando ogni giorno nei mercati e nei quartieri lontani dal centro a parlare di povertà, welfare, precarietà giovanile, ambiente, diritti delle donne.
È l’inizio di un percorso che lo porterà in pochi anni a rifondare tutta la sinistra greca, che come frazionismo e litigiosità non aveva nulla da invidiare alla nostra.
Puntando su obiettivi concreti, su diritti di base sempre più negati ai suoi connazionali, Tsipras riesce dal 2010 a fondere in Syriza le componenti più diverse, dai vetero-maoisti ai riformisti, dai neokeynesiani agli altermondialisti, dagli ecologisti ai trotskisti, giù giù fino al mondo dei movimenti e dell’associazionismo di base, perfino del nuovo mutualismo con cui nel suo Paese si cerca di far fronte alla crisi. Il tutto sulla base di un principio semplice ma dirompente: le ricette imposte dalla Troika servono solo ad aumentare la forbice sociale, a creare una piccola classe di super privilegiati e un’immensa classe di nuovi poveri.
La realtà, purtroppo, dà ragione a Tsipras, memorandum dopo memorandum. In Grecia la classe media scompare o quasi, chiudono le scuole, gli ospedali mandano via chi sta male, gli ex colletti bianchi cercano cibo nei bidoni della spazzatura. Che cosa contano, di fronte a una realtà del genere, le vecchie identità ideologiche, le contrapposizioni personalistiche o di gruppo, i litigi che affondano le loro radici nelle dispute del secolo scorso? Niente – e Tsipras lo sa. Così come sa che in politica non vale più solo quello che dici, ma anche quello che sei, cioè le tue pratiche personali: neanche i detrattori più accesi, ad esempio, ne mettono in dubbio l’onestà personale. E, al contrario di tanti altri leader politici della sinistra, Tsipras vive in una zona popolare e multietnica, non in un palazzo del centro storico.
Questo tuttavia non basta, naturalmente, così come non basta la lotta contro la Troika. Ecco perché Tsipras fa di Syriza il primo partito che mette sul medesimo piano i diritti sociali e quelli civili: quindi nel suo programma ci sono allo stesso modo l’istruzione pubblica e il matrimonio gay, il controllo statale della banche e la depenalizzazione delle droghe, il salario sociale e la laicità dello Stato, la patrimoniale e il taglio delle spese militari, la tassazione delle rendite finanziarie e l’antirazzismo.
Ma, aldilà dei programmi, è soprattutto una ‘rivoluzione cognitiva’ quella che Tsipras ha portato nella sinistra greca, cioè una rivoluzione di atteggiamento: rendendola un soggetto con ideali forti ma pragmatico, finalmente emancipato dal vecchio tic per cui «a sinistra ci si sentiva meglio nel perdere gloriosamente che nel vincere», come sintetizza l’intellettuale greco Costa Douzinas. Anche con imprudenza, se necessario: ad esempio scontrandosi con gli apparati del vecchio sindacato, rappresentativi ormai solo dei garantiti (sempre meno) e non della crescente marea di precari e disoccupati. O provando a rivolgersi anche a un elettorato tradizionalmente non di sinistra, come quello dei commercianti: pure loro impoveriti dalla crisi e soprattutto sempre più costretti a versare mazzette a questo o a quel politico di Nuova Democrazia e del Pasok.
Insomma: apertura mentale, movimentismo, innovazione, coraggio, utopia bilanciata dal pragmatismo. Questo è lo Tsipras che ci racconta il libro di Pucciarelli e Russo Spena, che peraltro non ci nascondono le ombre e le difficoltà, ma soprattutto le incognite per il futuro: se davvero Syriza dovesse vincere alle prossime elezioni greche, sarebbe pronto per governare? E avrebbe il fiato per contrapporsi nel Palazzo ai poteri forti interni ed esterni che oggi contesta in piazza? Ma soprattutto, terrebbe o no la miracolosa unità della sinistra costruita dal suo leader?
Tutte domande che riguardano la Grecia e il suo difficile futuro. A noi, in Italia, per il momento, resta solo una certa invidia per quello che Tsipras e i suoi hanno fatto finora – e che qui dobbiamo ancora iniziare a fare.