Un protagonista in terza persona – Claudia Scandura da il manifesto*
Per il centenario della Rivoluzione di ottobre, il primo canale della televisione russa ha mandato in onda la prima puntata della serie dedicata a Lev Trockij, una produzione sontuosa che mescola fatti reali e inventati e disegna la figura del protagonista come una sorta di rivoluzionario di professione, un antesignano di Che Guevara, la cui vita scorre fra amori e intrighi. L’ottica del film rispecchia le indicazioni delle autorità russe che ostentano sovrano distacco nei confronti della rivoluzione, un avvenimento in cui, come ha detto Dmitrij Peskov, addetto stampa di Putin, non c’è proprio niente da festeggiare.
La rivoluzione ha perso allure per la maggior parte dei russi che, fra i grandi eventi del Novecento, mettono al primo posto la vittoria nella seconda guerra mondiale. Ecco quindi che Stalin, pur con tutti i suoi difetti, viene prima di Lenin, pur sempre il padre della patria, e soprattutto di un avventuriero come Trockij, la cui figura è sempre stata tabù in Unione sovietica.
Solo nel 1997, in occasione degli ottanta anni della Rivoluzione, è stata infatti pubblicata in Russia dalla casa editrice Terra la sua Storia della Rivoluzione russa. Un esempio cui si rifanno le edizioni Alegre che, in occasione del glorioso centenario, pubblicano una nuova edizione di quell’opera (volumi 1 e 2, traduzione di Livio Maitan, prefazione di Enzo Traverso, pp.1407, euro 40). Un’opera che, pur pubblicata in passato varie volte, era ormai introvabile sul mercato italiano.
Lev Trockij iniziò a scriverla immediatamente dopo aver lasciato la Russia, nel 1929, durante l’esilio turco, con l’aiuto dei suoi collaboratori e segretari e del figlio maggiore Lev Sedov. La pubblicò a Berlino presso la casa editrice Granit: il primo volume nel 1930, il secondo nel 1931. L’anno dopo, Trockij fu privato da Stalin della cittadinanza sovietica e nel 1933 fu costretto a riparare in Francia. Da lì la sorte lo condusse, dopo alterne vicende, in Messico dove un sicario di Stalin pose fine ai suoi giorni nel 1940.
Si tratta di un libro prezioso perché dipinge un quadro degli avvenimenti basandosi non solo su un’ampia documentazione ma anche perché scritto da uno dei protagonisti delle vicende narrate. Trockij era il presidente del Soviet di Pietrogrado da cui scoppiò la scintilla rivoluzionaria e fu organizzatore e comandante dell’Armata Rossa che, sotto la sua guida, sconfisse l’Armata Bianca e trattò la pace di Brest-Litovsk con gli imperi centrali. L’autore cerca di offrire un quadro obiettivo dei fatti, di non parlare delle proprie «questioni personali», ma ciò nonostante il libro ha un’indubbia posizione politica: Trockij odiava Stalin e non nasconde l’avversione nei suoi confronti, non perde occasione per screditarlo. D’altra parte, come notò Pavel Miljukov, Ministro degli esteri del governo provvisorio, Stalin a sua volta invidiava l’intelligenza di Trockij e odiava in lui l’uomo di cultura. Non per nulla fu proprio l’intelligencija a soffrire maggiormente per la sua sconfitta: una volta eliminata l’opposizione di sinistra e instaurata la burocratizzazione totalitaria che caratterizza il regime staliniano, venne meno l’ombrello di protezione che Trockij aveva offerto ai «compagni di strada», quei letterati che avevano accettato la rivoluzione, pur non abbracciandola nella sua totalità.
Disegnando un affresco storico degli avvenimenti, l’autore sottolinea i legami fra la rivoluzione di febbraio e quella di ottobre. La prima non aveva, a suo avviso, alcuna possibilità di sopravvivere e non era altro che «un guscio, nel quale si celava l’anima nascosta della rivoluzione d’ottobre», come scrive nella prefazione all’edizione berlinese, qui riprodotta. Quella di febbraio fu una vittoria facile, piena di entusiasmi, senza collisioni né vittime, cui seguì l’ottobre, «una rivoluzione come un turbine di bufera, come una tempesta di neve», scrive il poeta simbolista Aleksandr Blok nel suo saggio L’intelligencija e la rivoluzione, esortando ad ascoltarne la musica, lo slancio creativo.
Trockij, pur essendo uno dei protagonisti della rivoluzione, la vede in una prospettiva storica, cerca di mettersi a distanza dagli avvenimenti, parla di sé in terza persona, si chiama per nome, ponendosi sullo stesso piano degli altri attori della storia pur senza nascondere il suo obiettivo vantaggio. Riconoscendo la parte di memoria presente nel libro, insiste però sul carattere oggettivo della sua ricostruzione, sulla sua volontà di tenere fuori emozioni e stati d’animo. Del resto, le fonti dell’opera sono eccezionali: giornali, riviste, memorie, verbali, documenti ancora manoscritti, resi accessibili ai bolscevichi dopo la conquista del potere.
Forse la rilettura di questo avvincente libro di Trockij potrebbe aiutare la società russa ad avviare una riflessione sul passato. Chissà se l’immagine del rivoluzionario puro e duro, spingerà le nuove generazioni a interessarsi ai dieci giorni che, comunque la si pensi, sconvolsero il mondo.
Fonte: il manifesto