Una saga proletaria che percorre il ‘secolo breve’ – Miha Obit da “Novi Matajur”
da Novi Matajur
È alle porte un 25 aprile particolare, abbastanza simile a quello dello scorso anno, con le celebrazioni a 76 anni dalla Liberazione che i tengono con commemorazioni intime, per poche persone, oppure su internet. E proprio sul web un’anticipazione degli eventi è stata fatta la scorsa settimana dalla sezione Anpi ‘Città di Udine’ con la presentazione del volume ‘La farina dei partigiani’ (la farina è una costante nel libro), sottotitolo ‘Una saga proletaria lunga un secolo’, di Piero Purich e Andrej Marini, edito da Alegre in una collana diretta da Wu Ming 1.
Racconto del ‘secolo breve’ e di tre generazioni, il volume ha l’andamento di una tromba d’aria: comincia a ruotare in Bisiacaria – il territorio tra Trieste e il Friuli – per poi allargarsi all’Europa e al mondo intero. Con il cuore che batte nella Resistenza e i piedi piantati nelle lotte sul lavoro i due autori – Purich, storico triestino, grande conoscitore di queste terre di frontiera, e Marini, discendente della dinastia operaia e antifascista Fontanot-Romano-Marini – ricostruiscono una vera e propria saga familiare e proletaria.
Solleticato da Carlo Baldassi, del comitato direttivo dell’Anpi udinese, Purich ha iniziato raccontando i primi passi del racconto, quando, nel 1907, viene creato il cantiere di Monfalcone. Le maestranze, provenienti soprattutto da varie zone dell’Istria, della Dalmazia, del Friuli e della Venezia Giulia, diventano presto una vera e propria aristocrazia operaia, aderendo all’idea socialista. Nel 1915 scoppia però la guerra e l’Isonzo diventa zona di fronte, il cantiere viene bombardato. Molte famiglie – tra cui quella da cui discende Marini – vengono trasferite al campo profughi di Wagna, nell’odierna Austria. La famiglia Marini, perché è su di essa che si concentra parte del racconto, fa ritorno a guerra conclusa ma la Venezia Giulia si ritrova sotto il fascismo. Sono gli inizi di quella che verrà definitiva, nei confronti di sloveni e croati (ma non solo), la ‘bonifica etnica’.
Piero Romano, nonno di Marini, che aveva lavorato nei cantieri, non vuole aderire al fascismo, finisce disoccupato e decide di trasferirsi negli Stati Uniti. Ritorna in Italia, trovando nuovamente lavoro come maestro d’ascia. Le vicende della dinastia diventano poi pretesto per iniziare a raccontare le prime lotte antifasciste e il carattere internazionalista di quella Resistenza. Un’organizzazione che lavora clandestinamente, nelle case, imparando a conoscersi e a riconoscere lo spirito della lotta partigiana. Finita la guerra i resistenti, che avevano lottato anche assieme all’Osvobodilna fronta, si domandano se vogliono costruire, in Italia, il socialismo. Per Purich “tra le genti di confine era più importante l’appartenenza o meno al comunismo piuttosto che l’appartenenza a una nazione, e questo spiega perché a Monfalcone i cantierini chiesero, dopo la Liberazione, l’unione con la Jugoslavia.” Quando però ci si rende conto che l’annessione non è possibile, nasce il fenomeno della partenza di migliaia di operai dalla Bisiacaria (e da altre zone del Friuli, come raccontò Pasolini in ‘Il sogno di una cosa’) verso la Jugoslavia. All’inizio è una situazione idilliaca, ma presto comincia a incrinarsi, portando alle amare delusioni nei confronti di Tito, dello stalinismo e del Partito comunista italiano. Insomma, una storia (di storie) racchiusa quasi in un secolo, a cavallo tra confini e culture, tra epoche ed epopee. Ma sempre incentrata su chi non si è mai arreso di fronte alle difficoltà e alle delusioni più cocenti, mosso dall’ideale intramontabile della fine dello sfruttamento.