Circostanze infernali nella Ferrara rinascimentale e contemporanea – Irina Aguiari su “il manifesto”
L’umanità agisce la propria storia, ma non già in circostanze da essa stessa scelte. Girolamo De Michele nel libro Lo scacchista del diavolo (Edizioni Alegre, pp. 384, euro 20) dipinge a tinte vermiglie e corvine le circostanze infernali di Ferrara e degli accadimenti locali nell’arco di un anno dal 1570. Lo scenario è quello di una città che sembra essere creatura viva, scossa da tumultuosi eventi naturali: il terremoto che risale dalle viscere profonde e la peste che scende dalla materia sottile.
Come i più ferraresi dei poemi cavallereschi, questa storia narra di sanguinosi duelli e amori che conducono alla pazzia; narra dei duchi estensi alla corte di Alfonso II, di dame e cavalieri; scacchisti, poeti e filosofi; mercanti dalle più disparate origini; cattolici, calvinisti ed ebrei: zingare e streghe, come le chiamano gli uomini. Indipendentemente dalla loro posizione sulla scacchiera della vita, ciascuno di questi personaggi, è costretto in un purgatorio terreno che, riga dopo riga, si rivela una finzione socialmente costruita, un sistema stratificato in gerarchie artificiose, regolato da ipocriti costumi e confuso da profezie mendaci.
I CAPITOLI DEL LIBRO si inseguono con la frenesia degli atti brevi di una commedia moderna i cui personaggi, quand’anche regali o eroici, appaiono grotteschi e vili. Senza rinunciare alla precisione delle fonti, De Michele ritrae in maniera satirica le cose umane, scoperchiando il ridicolo dell’ordine prestabilito e la farsa dell’autorità politica e religiosa. Discorsi privi di acume stridono all’accompagnamento di pantagruelici banchetti e diventano la rappresentazione canzonatoria di un’abbondanza povera. Un teatrino che, pur non essendo tra le pretese dell’autore, è riuscito a replicare il tempo presente in maniera terrificantemente accurata, spingendo l’intelletto delle lettrici e dei lettori a interrogarsi sul ripetersi della storia prima come tragedia e poi come farsa.
La scenografia infernale della Ferrara rinascimentale ha infatti troppe somiglianze con quella delle nostre vite contemporanee quando un nuovo morbo si è diffuso nell’aria e le viscere della terra hanno ripreso a insorgere. Il 1517 sembra il 2012, il 1630 sembra il 2020 soprattutto se vissuti dalle terre piatte del Po che la natura è tornata a reclamare come terre bagnate.
ATTRAVERSO I PIANI temporali che si sovrappongono, i corpi dei personaggi si muovono su una scacchiera inesistente cercando di adattare le loro mosse a una strategia da manuale: essi cercano di farsi campioni di un assedio regale ma finiscono per perire allo sgambetto di una mano invisibile. Questi corpi di carne e non di vetro, pedoni o re, torri o regine conducono lotte intestine chi contro sé stessi e il mondo consapevoli che sarà la morte, in entrambi i casi, a sollevarli dal ruolo di combattenti. Ed essi si dividono tra le più coraggiose, le quali rimangono fedeli alla natura carnale della vita, riconoscono la corporea umanità dell’esistenza e muoiono decise; mentre i più assecondano il desiderio egoistico di innalzarsi a giudici, profeti, campioni e sopravvivere al tempo da immortali. Tuttavia, la storia sembra passare indisturbata e restare una struttura imperscrutabile e inagibile all’umanità che si può ricomporre solo attraverso i ricordi e le memorie dei personaggi: inaffidabili e parziali eppur vere alle orecchie dei propri narratori. Quel che resta della volontà umana è forse proprio questo: la sua capacità di darle un senso e di raccontarla. O raccontarsela.
La penna di Girolamo De Michele resta una delle più fini per riuscire nell’arduo compito di restituirci entrambe: la storia e le storie. Tra queste pagine, scorrono infatti i fili di innumerevoli vite. Quelle fittizie dei personaggi narrati, le loro reali esistenze tratte dalle fonti e gli episodi romanzati spartiscono l’inchiostro con la storia personale dell’autore, i personaggi della sua vita e le sue proprie fonti.
STORIA E STORIE SI MESCOLANO insieme in una quasi auto-bibliografia che incastona tra le pagine del romanzo un corollario di citazioni e ispira al lettore una meta-lettura che abbraccia musica, arte, scienza. Quel che ci resta di questo tempo, passato e presente, è il viaggio dei viandanti e dei perdenti, di quella moltitudine umana che crede di poter tramare e ordire i meccanismi delle sue storie e della storia stessa.