“Le università, pilastro del progetto coloniale di Israele, vanno bloccate” – Riccardo Antoniucci intervista Maya Wind su “Il Fatto quotidiano”
Riccardo Antoniucci – Il Fatto quotidiano – 20 Novembre 2024
Il massacro di palestinesi nel conflitto scaturito dopo la strage del 7 ottobre 2023, “non è un’aberrazione, ma la diretta continuazione del progetto fondante dello Stato di Israele”, dice Maya Wind. “Ci sono voluti decenni per prepararlo e renderlo legittimo agli occhi degli israeliani”. Ebrea cresciuta a Gerusalemme, migrata negli Stati Uniti dopo aver passato quattro mesi in carcere per renitenza alla leva (da refusnik), Wind è attivista del movimento per il boicottaggio di Israele Bds e definisce “genocidio” la politica israeliana recente. “Il genocidio dei nativi è necessario all’instaurazione di ogni Stato coloniale. Israele non è il primo: ci sono stati l’Australia, la Nuova Zelanda, il Sudafrica”. Nel suo saggio Torri d’avorio e d’acciaio, andato in stampa poco prima del 7 ottobre, l’antropologa analizza il ruolo centrale rivestito dalle università in questo progetto.
Come le sembra il dibattito pubblico in Israele oggi?
Da 76 anni per gli israeliani esistere significa accettare l’eliminazione dei palestinesi. Il genocidio in corso è strutturale, l’obiettivo è fin dall’inizio la pulizia etnica della Palestina storica, nella società israeliana il consenso su questo punto è vasto. Non hanno cominciato 13 mesi fa, ma cento anni fa.
Perché l’università è così centrale nel progetto politico di Israele ?
Ogni progetto coloniale incontra la resistenza dei movimenti di liberazione, che si oppongono con le armi ma anche con le idee. Per questo lo Stato coloniale deve sviluppare un apparato ideologico per mantenere e giustificare l’occupazione militare: servono competenze, esperti, consenso. Le università israeliane hanno prodotto per decenni i saperi necessari allo Stato per governare militarmente i palestinesi e cancellare la loro storia.
Come si salda il legame tra accademia e complesso militare-industriale?
L’università è parte integrante del progetto coloniale già da prima della fondazione di Israele. Nel 1948 David Ben-Gurion creò il Dipartimento scientifico dell’Idf, Hemed, riunendo in segreto un gruppo di chimici, fisici e altri scienziati israeliani con il compito di sviluppare una produzione militare interna e non dipendere più dalle importazioni dall’estero. Una delle tre principali aziende militari israeliane, la Rafael, nasce così. In Israele, non solo le industrie belliche finanziano corsi di studio e ricerche, ma hanno una filiera dedicata ai soldati che offre un addestramento per compiti di intelligence. Senza parlare delle porte girevoli con l’esercito e la politica.
E poi c’è lo sforzo di reinterpretare le convenzioni internazionali…
Se negli ultimi 13 mesi il sistema del diritto costruito dopo la Seconda guerra mondiale non è stato in grado di fermare Israele è anche per via del lavoro decennale degli accademici israeliani per piegare il diritto internazionale. Con concetti usati anche altrove: nella ‘guerra al terrorismo’ del 2001, gli Usa si sono basati sulle analisi israeliane della legittimità della pratica della tortura, per dire.
Perché boicottare le università? La libera circolazione del sapere non andrebbe garantita?
Non proponiamo di boicottare le persone, ma le istituzioni complici del genocidio. Il sapere non esiste in astratto, è sempre il prodotto di un contesto, che a volte è molto più materiale di quanto si pensi: alcune università israeliane sono edificati su terreni sottratti ai palestinesi. Dov’è la libertà accademica dei palestinesi quando l’Università di Gaza è in macerie e gli studenti della West Bank sono uccisi o arrestati? Il Bds è l’unico modo di creare una vera pressione internazionale, visto che i governi occidentali sostengono attivamente Israele. L’unica soluzione è un movimento della società civile ispirato al movimento anti-apartheid sudafricano. Le università israeliane sono un pilastro del progetto coloniale israeliano, isolarle può costringerle a cambiare.