Il Meccanoscritto – Claudia Sunna da Sviluppo felice
Il Meccanoscritto (a cura del collettivo MetalMente, Wu Ming 2 e Ivan Brentari, Roma, Alegre 2017) è un libro difficile da classificare. Per molti versi è un testo storico, sono infatti ripubblicati i racconti scritti dagli operai che, nel 1963, parteciparono ad un concorso letterario indetto dalla FIOM di Milano per raccontare le proteste operaie dei primi anni Sessanta. Oltre a questi testi vengono pubblicati dei racconti scritti, a partire dal 2014, da un gruppo di lavoratori, il collettivo MetalMente. I testi del passato e del presente sono tenuti insieme da ‘Infrastorie’ che contestualizzano i temi trattati dai lavoratori del passato e del presente e che dunque spiegano cosa è cambiato e cosa resta immutato nelle rivendicazioni e nelle aspettative dei lavoratori.
La prima percezione è che sia un libro che parla di storia del movimento operaio italiano utilizzando in primis i racconti scritti dagli operai milanesi ritrovati da Ivan Brentari nell’Archivio del Lavoro di Sesto San Giovanni. Le rivendicazioni degli operai di quegli anni gettano una nuova luce sui “gloriosi” anni del boom economico italiano. Di quegli anni si parla spesso in termini aggregati (del prodigioso incremento della capacità produttiva, del PIL, delle esportazioni, della produttività del lavoro e, soprattutto, dei consumi). Il Meccanoscritto ci fa invece ricordare degli sforzi ‘individuali’ e ‘collettivi’ della classe operaia che proprio in quella stagione ha costruito un percorso di affermazione dei diritti dei lavoratori che è culminato nel 1970 con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Questo percorso è in forte contrasto con l’attuale riflessione sul tema del lavoro. Il processo di globalizzazione dei mercati, l’incremento della disoccupazione e l’affermazione di ‘nuovi’ modelli contrattuali hanno completamente ridefinito lo stesso concetto di ‘lavoro’. Nelle drammatiche storie del presente la perdita del lavoro non dipende da fattori strettamente economici o di inefficienza delle imprese. Il lavoro nel presente semplicemente scompare, viene delocalizzato. Ma a ben guardare ciò che scompare non sono i lavoratori, ciò che diventa davvero evanescente è la proprietà dell’impresa. Mentre nei racconti degli anni Sessanta i lavoratori si confrontavano anche duramente con il ‘padrone’, nei racconti del presente sono le imprese che, in un impeto incessante di finanziarizzazione e delocalizzazione, sono acquisite, smembrate e ricomposte senza che i lavoratori abbiano la possibilità di far valere i propri diritti.
Una possibile chiave di lettura di questo libro e, più in generale, delle dinamiche dell’economia del lavoro, può essere rintracciata nella tensione fra due categorie concettuali che si confrontano frequentemente nelle pagine del Meccanoscritto: individuale e collettivo. Nei modelli economici il lavoro è individuale. Il lavoratore ‘eroga’ la sua attività lavorativa sulla base del livello di salario reale atteso. Se il salario è troppo basso (o alto) rispetto alla domanda di lavoro il lavoratore semplicemente non lavora. Il problema principale di questa teoria è di considerare il lavoro come un bene economico al pari di tutti gli altri che può essere dunque contrattato sul mercato nel gioco di domanda e offerta. Ma nel lavoro, proprio come emerge dalle pagine del Meccanoscritto, c’è molto di più. C’è la realizzazione individuale (come narrato nel racconto ‘Hal’) e c’è la dimensione collettiva, l’identificazione di appartenenza ad un gruppo. È solo l’identificazione in un gruppo che permette ad i lavoratori di raggiungere un’unità di intenti e di rivendicare l’ampliamento (nel passato) o la conservazione (nel presente) dei propri diritti.
Anche da un punto di vista ‘letterario’ è possibile leggere questo libro attraverso la dicotomia individuale/collettivo. I racconti del concorso letterario degli anni Sessanta erano degli scritti individuali che raccontavano la realtà. Il realismo è la chiave di lettura, come se i lavoratori fossero dei narratori di fatti ed eventi realmente accaduti e la ‘qualità’ del loro scritto fosse misurata dalla capacità di rappresentare in poche pagine la vera essenza delle rivendicazioni operaie degli anni Sessanta. I racconti del presente, al contrario, sono racconti ‘collettivi’, scritti a più mani dal gruppo di MetalMente. Ma in questo caso non sono racconti realistici perché trasformano la realtà e la traspongono in contesti immaginari che cercano di prefigurare cosa sarà dello stesso concetto di ‘lavoro’.
È un libro che, in definitiva, si apre a diverse possibilità di lettura e lo si può apprezzare come testimonianza storica, per la valenza che potrebbe generare da un punto di vista teorico-analitico ed anche, infine, per la testimonianza di un testo narrativo impegnato e militante. Ognuno probabilmente lo leggerà in modo diverso ma ciò che resta significativo è la capacità di evocare e tenere insieme livelli di lettura così lontani. L’esperimento sembra pienamente riuscito. Sarebbe interessante replicarlo in contesti spazio-temporali diversi perché è evidente che da questa contaminazione fra generi possono solo derivare spunti interessanti per l’analisi e la comprensione di cosa sta succedendo nel mercato del lavoro.
Fonte: https://sviluppofelice.wordpress.com/2017/10/09/il-meccanoscritto/