Come ti taglio gli ammortizzatori
Articolo tratto da Il Fatto quotidiano
L’ottimismo di maniera del ministro Elsa Fornero, che ha accompagnato tutta la giornata di ieri, è stato spazzato via in serata dai vari sindacati. La proposta di riforma del mercato del lavoro presentata – articolo 18 escluso – non è piaciuta a nessuno. E se Raffaele Bonanni si è limitato a parlare della necessità di “ulteriori correzioni”, Susanna Camusso non ha usato giri di parole: “un passo indietro” è stato il suo giudizio. Passo indietro sugli ammortizzatori sociali e passo indietro anche sulla flessibilità in entrata. Su quella in uscita non se n’è discusso, il ministro farà incontri bilaterali con le parti a cominciare da oggi. Ma lunedì è già in programma il vertice con Mario Monti e il governo intende chiudere entro il 23 marzo. La sensazione è quella di un’accelerazione per mettere tutti con le spalle al muro, segnatamente la Cgil che sull’articolo 18 non ha intenzione di cambiare idea.
Le riforme messe sul tavolo ieri dal ministro sono state importanti con la sostanziale riduzione della cassa integrazione, l’estensione delle tutele per settori oggi non contemplati dalle attuali norme, l’introduzione di un nuovo istituto, l’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) che servirà a garantire, in caso di perdita del posto di lavoro, tutti i lavoratori dipendenti del privato e i dipendenti pubblici a tempo determinato. Nell’Aspi viene inglobata anche l’assistenza per i lavoratori in mobilità, la disoccupazione degli apprendisti, i co.co.pro e altre figure ancora. Ma non si tratta, sic et simpliciter, di un ampliamento delle risorse e quindi di una reale estensione delle tutele. Se nasce la nuova Assicurazione sociale muore una parte della vecchia cassa integrazione che rimarrà solo nel suo istituto di base, quella ordinaria che scatta per eventi o congiunture temporanee e che, con una copertura dell’80 per cento dello stipendio, può essere erogata dalle 13 alle 52 settimane. Scompare, invece, la Cassa integrazione in deroga, quella per eventi eccezionali e utilizzata a man bassa, anche con una certa discrezione, da governo e Regioni per far fronte all’emergenza lavoro negli ultimi anni. E viene ridimensionata – non si capisce ancora come e di quanto – la Cassa integrazione straordinaria soppressa alla voce “cessazione di attività”.
La nuova Aspi – su cui Fornero invierà un documento ai sindacati – ha quindi una portata generale. Per accedervi i lavoratori dovranno aver maturato due anni di anzianità e aver lavorato almeno 52 settimane nell’ultimo biennio. Durerà 12 mesi, estendibili a 15 per chi ha superato i 58 anni e dovrebbe avere un importo massimo di 1119 euro decurtati del 15 per cento dopo sei mesi e di un altro 15 per cento dopo altri sei mesi. Oggi il massimo è 1031 euro.
Nulla, però, sulle risorse stanziati. Quelle attuali ammontano a 20,4 miliardi complessivi (compresi i contributi figurativi) ma il ministro non ha fatto cenno ai nuovi stanziamenti tanto che il segretario Uil, Angeletti, ha chiesto di sapere quali conteggi e parametri utilizzi la Ragioneria generale. Inoltre, per l’Aspi si è parlato di un’aliquota dell’1,3-1,4 per cento a carico mentre oggi le imprese, tolta la Cassa integrazione ordinaria, versano tra l’1,61 e il 2,81 per cento, più uno 0,30 per cento a carico dei lavoratori nelle imprese sopra i 15 dipendenti. Non è detto quindi che lo spostamento di risorse da una voce all’altra dia alla fine lo stesso risultato. Anzi, per Susanna Camusso si tratta di un “passo indietro” che “non copre nessun nuovo lavoratore” e lascia inalteralte le risorse solo “ridistrubuendo quelle esistenti”. Bonanni, addirittura, parla di “ecatombe sociale a proposito della scomparsa della mobilità. Elsa Fornero ha preso tempo, assicurando che le risorse si troveranno e non proverranno da altri voci del welfare. Ma il ministro ha comunque fretta che la riforma entri in vigore entro il 2015, due anni prima di quanto previsto inizialmente.
Più semplice, invece, il confronto sul tema della precarietà. Semplice perché in realtà sarà modificato poco o nulla. Il dibattito sul “contratto unico” sembra essere svanito perché il governo ha in mente di favorire un “contratto dominante” – il tempo indeterminato ma soprattutto il contratto di apprendistato per i giovani fino a 29 anni – facendo pagare “un po’ di più” tutte le tipologie atipiche (co-co-co, co-co-pro. etc). “Un altro arretramento” dice Susanna Camusso che stavolta lascia aperta la strada all’ipotesi di un accordo separato. “Con un governo che sta dicendo che non c’è un sistema universale che copra tutti la trattativa è difficile”.