Disoccupazione a go go, crescita lenta
Dicono che la crisi sia finita o che almeno si inizia a vederne l’uscita. Che sia propaganda è visibile negli studi che pubblica lo stesso Sole 24 Ore ma soprattutto lo si evince dai dati nudi e crudi dell’economia reale. Dopo i dati diffusi dall’Inps sulla Cassa Integrazione (straordinaria e in deroga) cresciuta nel 2009 del 311,4% oggi è la volta dei dati sull’occupazione diffusi dall’Istat. Il responso è implacabile; quasi 400.000 posti di lavoro in meno rispetto a un anno fa e un tasso di disoccupazione ai massimi dal 2004. A poco serve sapere che la percentuale di disoccupazione italiana è più bassa di quella europea – 8,3% contro una media Ue del 10 – perché la crescita è comunque rapida e non accenna a fermarsi.
In Italia a novembre – secondo i dati destagionalizzati – lavoravano 22.876.000 persone con un calo di 389.000 unità su novembre 2008 (-1,7%) e di 44.000 unità su ottobre (-0,2%). Le persone in cerca di occupazione hanno superato per il secondo mese consecutivo quota due milioni (2.079.000 a novembre) con un aumento di 30.000 unità su ottobre (+1,5%) e di 313.000 su novembre 2008 (+17,7%). Crescono anche gli inattivi (coloro che tra i 15 e i 64 anni non lavorano e non sono alla ricerca di un impiego) con 11.000 persone in più rispetto a ottobre (+0,1%) e 269.000 rispetto a novembre 2008 (+1,8%). Vola anche la disoccupazione giovanile con un tasso del 26,5% nella fascia tra i 15 e i 24 anni a fronte del 21% medio registrato nella zona euro (-0,1 punti su ottobre e +2,9 punti su novembre 2008). Sono stati soprattutto gli uomini a perdere il posto con 211.000 disoccupati in più a novembre 2009 rispetto allo stesso mese del 2008 (+24%) e 31.000 in più su ottobre (+2,9%). Gli occupati uomini in meno rispetto a novembre 2008 sono 261.000 mentre gli inattivi crescono di 110.000 unità. Tra le donne diminuiscono le occupate (-127.000) e crescono le persone in cerca di lavoro (+103.000) ma soprattutto aumentano le persone che restano fuori dal mercato.
Ai dati europei sono complementari a quelli pubblicati negli Usa che vedono 85mila posti di lavoro persi a dicembre con un tasso di disoccupazione giunto ormai al 10%, limite non raggiunto negli ultimi venti anni. La notizia ha avuto immediate ripercussioni su Wall Street con la reazione negativa della Borsa statunitense.
Come dicevamo, mentre il governo cerca di far passare l’idea della ripresa dietro l’angolo, con l’avallo di Confindustria, i Centri studi la pensano diversamente. Ad esempio, secondo i principali istituti congiunturali europei, il tedesco Ifo, il francese Insee e l’italiano Isae, se la recessione nell’area dell’euro sembra essersi conclusa il Pil reale nel terzo trimestre è cresciuto dello 0,4% dopo un calo dello 0,1%. Tuttavia, le prospettive economiche rimangono poco brillanti e si prevede che il Pil cresca dello 0,3% nel quarto trimestre 2009 e dello 0,2% sia nel primo che nel secondo trimestre 2010. In particolare, l’esaurirsi degli stimoli fiscali nei prossimi trimestri e il marcato deterioramento del mercato del lavoro penalizzerebbero la crescita. Finora hanno pesato le forti iniezioni finanziarie prodotte dai vari governi ma d’ora in avanti peserà negativamente la riduzione del potere d’acquisto dei salari.
Non sembrano preoccuparsene multinazionali come la Ups che proprio oggi ha alzato le proprie previsioni sugli utili nel quarto trimestre 2008 ma contestualmente ha comunicato un taglio di posti di 1.800 unità. Inutile dire che Wall Street ha festeggiato: il titolo della società cresce di oltre il 5 per cento. Come dice il Sole 24 Ore «gli investitori plaudono all’annuncio sugli utili ma è indubbio che anche la ristrutturazione piace al mercato».
In questo contesto non stupisce il pessimismo diffuso. Secondo un sondaggio Swg realizzato per Confesercenti ci vorranno ancora 6, 12 mesi per uscire dalla crisi economica. Ne è convinto il 31% degli italiani ovvero oltre 15 milioni della popolazione adulta. In particolare il 7% ritiene che per uscire dalla crisi si dovrà «soffrire» ancora per sei mesi, il 24% un poco più prudente, «vede» materializzarsi la ripresa nella seconda metà dell’anno appena iniziato. Ma ci sono anche oltre 18 milioni di persone, vale a dire il 36%, che spostano la ripresa oltre il 2010. Uno su cinque teme che bisognerà aspettare il 2011, mentre la pattuglia dei più pessimisti che è l’11%, sposta la ripresa al 2012.