Fiat, prendi i soldi e scappa
Il caso Fiat e la Fabbrica Italia
Senza aiuti è il mercato che conta
di Massimo Mucchetti (da Il Corriere della Sera)
La Borsa ha applaudito i disegni di Sergio Marchionne. il resto dell’italia no: partiti di opposizione, esponenti del governo, sindacati, anche quelli moderati. Perfino la Confindustria, pur appoggiando l’illustre associato, non vorrebbe scontri radicali.
La scissione tra il settore auto e le attività affini (tra cui le non affini partecipazioni editoriali), che resta alla Fiat Spa, e il resto del gruppo, che va alla neonata Fiat Industrial, è passata in secondo piano rispetto all’annuncio del trasferimento di alcune produzioni da Mirafiori alla Serbia.
La mossa della Fiat sorprende solo chi non aveva mai letto con attenzione i suoi bilanci. Ma i distratti, in Italia, sono una folla: politici, industriali, banchieri, commentatori. Oggi esaltano il Marchionne che salva Detroit con i soldi della Casa Bianca e scoprono preoccupati che lo stesso Marchionne trova in qualche sporadico sciopero della Fiom la scusa per depotenziare Mirafiori, visto che il governo italiano è in bolletta. Il ministro Roberto Calderoli parla degli aiuti pubblici, ma è storia vecchia. Per condizionare le scelte della Fiat sulla base di una storica gratitudine, ci vuole una capacità politica che finora non si è vista. Con la scissione, la famiglia Agnelli riconosce di non essere più l’azionista di riferimento adatto nella partita globale dell’auto. Potrebbe essere un bene per gli Agnelli e per l’Italia, se l’Italia avesse un’alternativa sua, non subalterna alla Borsa che applaude la delocalizzazione in Serbia.
Questa idea forte oggi non si vede. Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, invita a riaprire il tavolo sul progetto Fabbrica Italia. Il leader dell’opposizione, Pieriuigi Bersani, coglie la palla al balzo per censurare l’assenza del ministro dello Sviluppo economico. Ma di tavoli si muore se non si sa che cosa si vuole ricavarne. Non si era detto che Fabbrica Italia giustificava Pomigliano, un accordo che colpisce le cattive abitudini campane e, al tempo stesso, indebolisce il sindacato, anche quello moderato? Per dirlo bisognava aver capito che cosa fosse Fabbrica Italia. Ma, se oggi se ne deve riparlare, vuol dire che non tutto era chiaro. Adesso, bisogna capire quanto la Fiat guadagna su un auto in Polonia o in Serbia o in Brasile e quanto vuole guadagnare in Italia e a quali condizioni, e poi misurare se Fabbrica Italia faccia avanzare o arretrare il Paese. Poi, ridimensionata la questione Fiom al suo rango modésto, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che qualche anno fa si era occupato del caso, ci dirà quanto la nuova Fiat collinti con gli standard di civiltà del suo La paura e la speranza.
La Fiat ha cambiato strategia e rischia di abbandonare l’Italia
Intervista a Maurizio Landini, segretario generale Fiom
Salvatore Cannavò (da Il Fatto quotidiano)
Il segretario della Fiom, Maurizio Landini, è molto preoccupato per quello che sente e legge sui giornali. Le mosse della Fiat non solo non lo convincono ma è convinto che rappresentino un cambio di strategia da parte del Lingotto con una prospettiva ormai nemmeno tanto nascosta: l’uscita della produzione dall’Italia. Per questo lancia l’allarme, chiede una discussione “seria” di strategia industriale e annuncia un’intensificazione della mobilitazione della Fiom.
Landini, con la decisione della Fiat di aprire una nuova produzione in Serbia Mirafiori è davvero in pericolo?
Direi di più, quello che viene meno è il piano industriale presentato lo scorso 20 aprile ai sindacati e al governo. Il cambiamento di strategia ci pare evidente e il caso Serbia lo indica chiaramente. La Fiat va lì perché non tira fuori nemmeno un euro: la fabbrica è stata ricostruita dal governo, per 10 anni non pagherà tasse, avrà un contributo di 10mila euro per ogni lavoratore assunto, ha ricevuto contributi dal governo serbo e dalla Bei e i lavoratori guadagneranno 400 euro al mese. Vogliamo fare così anche in Italia?
Ma da dove viene questo cambio di strategia?
In realtà, a dispetto del risalto mediatico, la Fiat è in difficoltà: la famiglia non intende mettere mano al portafoglio per investire, non ha idee di innovazione del prodotto, il progetto del 1.400 mila vettura all’anno è eccessivo e quindi riaggiusta il tiro. La tenuta del Cda a Detroit è simbolicamente propedeutica a una Fiat internazionalizzata con la testa negli Stati Uniti. E in questo senso la chiusura di Termini Imerese e il ridimensionamento di Mirafiori sono solo un primo segnale.
Ma si investe a Pomigliano.
E a noi va bene. Va ricordato, però, che non avendo pagato per diversi mesi gli stipendi agli operai – in cassa integrazione – e non pagando i premi di luglio, certi investimenti sono in larga parte pagati dai lavoratori stessi. Come del resto è avvenuto con la Chrysler: una parte delle risorse viene dai Fondi pensioni dei sindacati azionisti e una parte dallo stesso Obama.
Marchionne dice che il cambio di strategia dipende dalla mancanza di serietà dei sindacati italiani.
Si tratta, questo sì, di un modo poco serio di affrontare i problemi. Noi abbiamo detto che siamo disposti a fare anche i 18 turni e a fare una trattativa seria se la Fiat è disposta a sedersi davvero a un tavolo. In realtà si tratta di diversivi che nascondo i problemi reali.
Ma è tollerabile, chiede ancora Marchionne, che un lavoratore prenda un permesso familiare e vada a una manifestazione?
Quello che non è tollerabile è far finta di non vedere quello che sta succedendo. I lavoratori si stanno mobilitando con punte di consenso alla Fiom inaspettate. E’ intollerabile che mentre gli operai guadagnano 1200 euro al mese e spesso sono in cassa integrazione, si aumentino i compensi ai dirigenti e si distribuiscano dividendi agli azionisti. Quanto all’accusa ai lavoratori italiani di aver fatto guadagnare meno di altri, di chi è la colpa se i lavoratori stanno in Cassa integrazione, dei lavoratori stessi?
La Fiom alzerà il tiro della mobilitazione?
Domani (oggi, ndr.) c’è lo sciopero in tutto il gruppo. Il 28 luglio terremo un’assemblea, aperta alle forze politiche, davanti a Montecitorio. E poi abbiamo già indetto una manifestazione nazionale per il 16 ottobre. Ci aspettiamo che sia una manifestazione allargata a tutte le forze sociali interessate a uscire dalla crisi salvaguardando il lavoro, i diritti, la democrazia.