Il lavoro non è una concessione
Da Repubblica-Bologna, il Caffè letterario
«Sono storie magari non reali, ma vere», dice Vincenzo Colla, segretario regionale della Cgil. «Scatenano sentimenti, fanno riflettere – aggiunge Bruno Papignani della Fiom – Abbiamo riportato il mondo del lavoro e della cultura a parlarsi, e noi metalmeccanici faremo nascere dibattiti da questo libro». Parlano di Lavoro vivo (Alegre), antologia di racconti sul lavoro nata da un incontro, il 27 maggio scorso, in piazza Maggiore, sul palco dove hanno appena parlato Landini e la Camusso. «Una persona si avvicina, ma il suo viso non mi dice nulla, non so dargli un’età precisa. Gli stringo la mano distrattamente mentre sussurra: “Sono Stefano Tassinari, se volete siamo a disposizione per fare qualcosa insieme”. Rispondo frettolosamente: “Va bene”, e continuo a parlare con i delegati delle fabbriche. Vedo che si allontana, fa alcuni passi, poi ci ripensa, mi torna vicino e precisa: “Sono uno scrittore e parlo anche per altri colleghi, se lo ritenete possiamo fare qualcosa insieme”». Così racconta Papignani nella postfazione, e quei “colleghi” sono ora Carlo Lucarelli, che il 1 maggio in piazza San Giovanni al Concertone ha letto il racconto di Tassinari, Gianfranco Bettin, Giuseppe Ciarallo, Maria Rosa Cutrufelli, Angelo Ferracuti, Marcello Fois, Milena Magnani, Giampiero Rigosi e Massimo Vaggi.
Gli ultimi quattro, mercoledì, erano con Colla e Papignani alla sede della Cgil per presentare il volume. E, come da tradizione, c’è dibattito. Tutti d’accordo con Vaggi quando dice che «i racconti mettono al centro l’attore del lavoro: l’uomo», ma ci sono posizioni diverse sul fatto che «la letteratura, occupandosi di lavoro, può avere la funzione di dire fermiamoci tutti, pensiamo che esodati e licenziati non sono numeri o strategie aziendali, ma persone».
La situazione è grave. Ricorda la Magnani, scrittrice ma anche educatrice, che da anni lavora coi migranti: «Prima pensavo che fossero loro le sacche marginali senza i diritti acquisiti che pensavamo inalienabili, poi mi sono accorta che non sono l’eccezione, che gli adolescenti parlano di futuro con ombre nere, di accontentarsi». E Fois parla di «un paese “deamicizzato” dal punto di vista lavorativo: un padrone paterno e bonario ti concede il lavoro per farti guadagnare il pane. Nella mia regione d’origine, la Sardegna, si è tornati al caporalato diffuso e legalizzato, con una nuova generazione senza prospettiva, se non la speranza di “far la stagione”. Ma non è un discorso localistico: l’Italia è la Sardegna d’Europa, e vive il lavoro come concessione».
Ma lo scrittore cosa può fare? Qui nasce il dibattito. Secondo Fois «lo scrittore è tutt’altro che innocuo: deve costruire un ponte sulla voragine che si è creata tra le generazioni, ha il compito di ricordare che i compromessi da ultima spiaggia diventano un cappio che impicca. Diamoci ascolto, noi scrittori e voi sindacato, perché le storie di questo libro chiedono di non distrarsi».
Fois è combattivo, un «ottimista amaro» lo definisce Rigosi, che invece si sente «impotente come scrittore. Mi viene in mente il film Louise Michel, dove le operaie licenziate pagano un sicario per uccidere il padrone, questo lo uccide, ma non è più lui il capo, perché la fabbrica ha nuovi proprietari, quindi cerca quello nuovo, ma non finisce mai. Io mi sento così. Ero inibito quando mi hanno chiesto di partecipare. Ho fatto tanti lavori prima di questo bislacco di inventare storie, e ho scritto riflessioni personali su questo, ma sono disorientato come il killer che cerca i responsabili e non li trova. Penso però che con le storie si possano accendere scintille che poi spingono a cercare e ad agire, per questo sono favorevole al dialogo con il sindacato, per trovare insieme un modo di combattere battaglie».
Come quella di Nardò, degli immigrati che si sono ribellati ai caporali, «con uno sciopero – racconta la Magnani – che ha creato una solidarietà concreta di tante persone, poi ha portato in piazza anche il sindacato. Bisogna ristabilire alleanze perché il contesto economico schiaccia ogni prospettiva di diritti. A me, come scrittrice, chiedevano: racconta».
Dare parola, costruire ponti, cercare dialoghi. Il ruolo degli intellettuali, ma non è facile: «a Salto di Quirra, in Sardegna, il tasso di leucemia è + 78,6%. C’è una base Nato, fanno esperimenti con l’uranio impoverito. Io e Michela Murgia siamo andati là a parlarne, ma la popolazione non vuole sentire ragioni, ha paura di perdere lavoro. Un signore si è alzato dal fondo della sala e ha detto: “ma cosa vuole lei? Se ne torni a casa sua: preferisco morire di leucemia che di fame”. Bisogna dare linguaggio a questo mutismo diffuso e assoluto, e il sindacato deve farsene carico, anche fuori dalla fabbrica, perché dentro c’è una grammatica, un lessico, ma fuori no. Bisogna ricominciare da capo, subito, per far capire che il lavoro non è una concessione, ma un diritto».