Medioriente sotto la lente
(da il manifesto del 28/11/2012)
Raccogliere i propri articoli apparsi nel tempo su un quotidiano può essere un atto di albagia o un azzardo. O le due cose insieme. Secondo un luogo comune che non di rado contagia i redattori e direttori di giornale, un quotidiano il giorno dopo è buono solo per incartare la verdura. E anni dopo?
Michele Giorgio pubblica un’antologia di suoi scritti apparsi sul manifesto fra il settembre del 2000 e il settembre del 2012 (Nel baratro. I Palestinesi, l’occupazione israeliana, il Muro, il sequestro Arrigoni, Edizioni Alegre, pp. 286, euro 14). Gli articoli non hanno un inquadramento perché i fatti, e i contesti in cui i fatti si collocano, parlano da sé.
Nella peggiore delle ipotesi il risultato è una cronologia ragionata (e verificata dall’interno) di come la Palestina ha vissuto questi primi anni del Duemila. Nessuna manipolazione, nessuna lettura ex post. In effetti, un piacere e un arricchimento per dotti e incolti, perché la successione degli avvenimenti è incalzante e la memoria di tutti è sollecitata a ricordare quando e come sono accaduti eventi d’importanza storica come la seconda Intifada, i disastri di Jenin e Hebron, la morte di Arafat dopo il lungo assedio nel Moqata di Ramallah, la crescita di Hamas, la vicenda di Gaza, la costruzione del muro che potrebbe diventare un confine. L’interesse è intrinseco e sarebbe banale aggiungere che per capire l’ultima crisi è bene avere presenti i precedenti. Qua e là la cronaca del giorno è interrotta da un’opinione, non tanto del giornalista quanto di protagonisti come Marghouti, Edward Said o lo stesso Arafat, o di storici israeliani come Benny Morris e Ilan Pappe. Michee Giorgio si impegna di persona so- prattutto nel ricordo in mortem di Vittorio Arrigoni che conclude il volume.
La prima impressione è un po’ estraniante. È come se più il racconto procede, anche con svolte oggettivamente determinanti, più la questione palestinese sembra sempre uguale a se stessa. E non solo per la notizia che suona come una non-notizia dei «tre palestinesi uccisi oggi nei territori occupati» di cui parla Tommaso Di Francesco nella prefazione. Le singole vittime sfumano in un insieme senza contorni precisi. Ci sono tanti «prima» e tanti «poi» eppure i fondamentali non cambiano. Una novità è forse la crescente attualità dello stato democratico per arabi ed ebrei rispetto allo slogan «due stati per due popoli» che per l’evoluzione sul terreno, a cominciare dagli insediamenti ebraici nei territori occupati, è sempre meno realistico anche a prescindere dai principi a favore dello stato unico a parità di diritti e doveri per tutti. E c’è naturalmente il divario fra Cisgiordania e Gaza e quindi fra Al-Fatah e Hamas. Già ai tempi di Sharon (l’articolo è del 20 agosto 2001) Michele Giorgio sospetta che la strategia di Israele sia di eliminare l’autorità palestinese e i resti dell’Olp per avere di fronte solo Hamas con il cal- colo di veder aumentare la solidarietà da parte di tutto il fronte occidentale anti-islamico con la repressione della resistenza e la negazione delle rivendicazioni palestinesi. Un motivo di più per rimpiangere Mister Palestina che (sono parole di Arafat riportate in un articolo del 19 dicembre 2001) si sentiva impegnato «a rispettare la parola data a Rabin».
Nel libro di Giorgio è puntualmente registrato quello che doveva essere l’accordo per un governo unitario fra i due spezzoni della Palestina, con i buoni propositi e i nomi nelle varie caselle (eravamo nel febbraio del 2007). Hamas si diceva pronta ad accettare gli accordi sottoscritti con Israele mantenendo tuttavia la propria linea di non concedere un riconoscimento «storico e morale» dello stato ebraico. Come si sa, la storia vera è andata in un’altra direzione.