Nuove «Conseguenze del ritorno»
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Caro editore,
è trascorso un anno dalla pubblicazione di Le conseguenze del ritorno il volume della tua collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 dedicato al lupo in Italia, ai suoi pericoli, alla ricerca e all’immaginario.
Un anno bello perché grazie a te ho partecipato a tante manifestazioni culturali, sono stato intervistato in trasmissioni di prestigio (Fahrenheit, RaiRadio3) e di intrattenimento (Caterpillar, RaiRadio2), ho partecipato a podcast (Nelle tracce del lupo, Raiplaysound), sono stato chiamato a descrivere il mio lavoro in mezza Italia, ho presentato il libro in oltre cinquanta occasioni diverse, tutte stimolanti e costruttrici di nuovi rapporti umani. Mi inorgoglisce soprattutto il fatto di essere stato invitato da associazioni di allevatori o da singole aziende che evidentemente hanno trovato nei miei scritti un atteggiamento laico ed equidistante rispetto ai due pensieri unici lupeschi, sempre divisivi e un contro l’altro armati: da un lato amore e invidia, dall’altro odio e sterminio. Continuo a trovarmi bene lì nel mezzo.
Approfitto allora di questo anniversario, caro editore, per raccontarti un po’ di novità e qualche conferma che sono accadute dal 2021 a oggi e che ho raccolto come ideale appendice o addendum al nostro libro.
Innanzitutto sono stati pubblicati i dati del primo censimento nazionale del lupo in Italia effettuato da migliaia di operatori specializzati – tra i quali io – nell’inverno 2020-2021. C’è voluto oltre un anno per elaborarli ma adesso si trovano ben illustrati qui e ci dicono che la popolazione italiana è cresciuta a circa 3.300 lupi (da un minimo di 2.900 a un massimo di 3.600) con un buon rapporto maschi-femmine, che il sessanta per cento del territorio disponibile è occupato da famiglie riproduttive, che un migliaio di lupi vive nelle regioni alpine – nelle Alpi centrali restano molti territori vuoti – e il rimanente lungo tutto l’Appennino fino alle coste e alle spiagge. Quindi i lupi italiani stanno raggiungendo l’asintoto descritto a pagina 23 del libro. Hanno anche circondato molte città e hanno cominciato a nutrirsi di prede domestiche diverse dalle pecore, come pronosticato a pagina 51. I giovani lupi che cominciano ad allontanarsi dal branco di origine per poi andare definitivamente in dispersione fanno esperienze all’estero come un qualsiasi studente europeo in Erasmus.
La raccolta dei segni di presenza – escrementi, predazioni, tracce e piste – prosegue ininterrotta. Così come continuano ad arrivare sul mio telefono messaggi francamente inquietanti come quelli che commiseravo già a pagina 84. Uno degli ultimi recita testualmente: «Ciao Luca. In frigo a casa ho la pipì di cagna in calore che mi ha dato Elisa M. per aromatizzare le trap-lines di cattura la prossima settimana. Riusciamo a organizzare uno scambio in quota per farla avere al trapper?».
E ora, caro editore, in ordine sparso come sul mio taccuino di campo, ti racconto che:
Oltre che come il filosofo maieutico cui mi ispiravo a pagina 55 il lupo è come un coach severo che ci costringe a esercizi di ginnastica ripetitivi e faticosi. Ma se vogliamo rimetterci in forma, servono proprio quelli. E quell’allenatore che odiamo mentre ci fa sudare, sarà più efficace di un altro più bonaccione e tranquillizzante. Il problema è che non lo abbiamo scelto, non ci siamo iscritti volontariamente alla sua palestra come ogni inizio anno in base a buoni propositi poi sempre disattesi. È arrivato inatteso e impietoso, proprio come nella sua natura di Lupo.
I lupi hanno due picchi annuali di fama mediatica: agosto e gennaio. A fine estate si verifica il massimo della pressione sulle greggi perché i giovani lupi nati a maggio sono ormai grandi come gli adulti, vanno a caccia insieme e i genitori allenano i figli usando le prede più facili. Come maestri di sci, insegnano agli juniores le giuste tecniche guidandoli sulle “piste baby” (le pecore) prime che sulle piste nere (i cervi), come descrivevo a pagina 101. Di conseguenza si lanciano titoli allarmistici sui quotidiani e appelli per interventi drastici, tra i quali quest’anno si è segnalato quello di Uncem. Poi in inverno i lupi si avvicinano alle borgate di montagna in coincidenza con il periodo delle feste, quando molta più gente con tempo da perdere gira di sera e di notte in auto o a piedi, li avvista e li filma per poi postarli su facebook. L’assenza di neve e la siccità hanno tenuto in alta quota le prede dei lupi, quindi durante le feste 2021-2022 la gloria mediatica dei lupi sui social è stata scarsa.
Lo scrittore Matteo Antonio Rubino ha dovuto rinunciare più volte a presentare il suo Osso la lupa – un libro per ragazzi approvato dal Wwf – perché gruppi di allevatori facinorosi glielo hanno impedito al grido di “Non ti permettiamo di fare il lavaggio del cervello ai nostri figli!”. Viva le discussioni anche accese ma chissenefrega dei contenuti: sono brutti tempi se un autore non può parlare in pubblico del suo lavoro.
Nelle ultime estati si è diffusa tra gli allevatori la moda di esplodere petardi contro lupi troppo vicini. Un tam tam veloce da nord a sud ha unito leghisti e meridionali saltando confini di tradizioni, lingue, politiche diversissime: come sempre, il lupo coalizza i propri nemici. Superfluo osservare che la pratica è stata ovunque inefficace, buona al più a far sobbalzare la prima volta un giovane lupo inesperto ma certo non ad allontanarlo definitivamente. Un pastore esasperato ha annunciato pubblicamente di ricompensare con tremila euro chi gli portasse una carcassa di lupo. Inevitabilmente è stato denunciato alle autorità competenti perché il lupo è protetto dalla legge. L’episodio manifesta sia la pressione inascoltata subita dagli allevatori, sia le risposte di tipo medioevale o da far west che ancora oggi suscitano i lupi. D’altra parte un suo collega veronese ha dichiarato pubblicamente che bisognerebbe smetterla di rimborsare i danni delle predazioni perché questo non li impegna a migliorare i propri sistemi di conduzione. Ad esempio il mio amico Pietro (quello di pagina 59 e seguenti) ha sperimentato che è efficace tenere dentro il recinto delle pecore i cani da difesa maremmani e lasciare all’esterno un paio di cani di origine mongola, più robusti e più selezionati all’attacco contro i lupi, perché avendo l’indole di inseguirli li spingono lontano e i lupi, dopo alcune esperienze negative, smettono del tutto di avvicinarsi a quel gregge. Su un altro fronte i pericoli per le sue bestie sono aumentati. È sempre più difficile proteggere le pecore da diserbanti e veleni vari. In particolare l’intensificazione delle colture a nocciolo – spinta dalla Pac e sussidiata dalle politiche regionali e nazionali – prevede l’uso massiccio di sostanze spollonanti che, come napalm, fanno terra bruciata per vari metri di raggio attorno alla pianta e intossicano pecore, cani, ciclisti, runner, tartufai. Un paradosso grottesco: per secoli i contadini hanno selezionato varietà di alberi che producessero abbondanti getti nuovi ogni stagione, perché i polloni servivano a molti usi e quindi erano apprezzati e ricercati. Oggi l’esigenza del mercato è opposta ma non c’è tempo né sapienza per tagliarli a mano e quindi… Come disse la regina Rossa ad Alice: «Qui, vedi, devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto»,così devono continuamente fare i pastori, altrimenti il loro lavoro viene vanificato dal lupo vero e da tanti altri predatori non meno feroci.
Il cane lupo cecoslovacco (il Clc di pagina 40) di un sindaco montano ha vissuto mesi d’inferno perché era circondato da un branco di sei individui che gli marcavano continuamente il territorio intorno e lui non aveva abbastanza urina per ricoprire ogni marcatura fatta dal branco. A proposito, nel video della canzone Chimica di Cesare Cremonini compare in diverse sequenze un cane lupo cecoslovacco che interpreta un lupo vero.
Studiando i registri di stalla e gli archivi di fine ottocento-inizio Novecento del centro Italia si rileva che allora le predazioni dei lupi raggiungevano anche il dieci per cento del patrimonio ovicaprino di un’azienda. Eppure era un danno più accettato di oggi che il valore è sceso di un fattore 100, arrivando allo 0,1 per cento e solo in qualche caso all’1 per cento. A pagina 67 riportavo un episodio grottesco per illustrare il livello di esacerbazione e ideologia tra le parti in causa. Nell’anno appena trascorso ne ho appreso un altro: un altopiano ricco di pascoli e frequentato dai lupi è diviso tra due regioni. Una di queste aiuta un consorzio di pastori attivi a costruire e manutere un recinto elettrico a sette fili ben fatto, molto lungo ed efficace. Appena al di là del confine, nell’altra regione, non si fa niente e anzi di notte anonimi commandos armati di tronchesi e palanchini vanno a danneggiare il recinto affinché i lupi entrino a mangiare pecore, per dimostrare che non serve nulla se non il fucile. Su un altro fronte, però, quella stessa regione ha adottato con successo la tecnica di dissuasione mediante pallottole di gomma che proponevo a pagina 122. Una bella soddisfazione, per quanto al momento embrionale ed episodica.
Le problematiche descritte un anno fa non sono migliorate. La domanda posta allora (pagina 57) continua a essere valida e senza risposta. Quando una fabbrica è in crisi intorno alla sua situazione si prodigano economisti, sindacalisti, esperti di logistica, amministratori pubblici e imprenditori volenterosi per individuare le criticità generali, economiche e lavorative di quella fabbrica e tentare soluzioni a trecentosessanta gradi. Come mai questo non succede quando a essere messe in crisi sono le filiere dei pastori?
L’Italia è cattolica e cristiana. Nei vangeli, nei salmi, nelle liturgie, la simbologia del pastore, quasi sempre del buon pastore, è continuamente evocata e illustrata come esempio istruttivo. Allora com’è che fuori dalle chiese tutti ignorano il lavoro dei veri pastori?
Periodicamente si rilanciano iniziative e appelli per aprire la caccia al lupo, per “gestirli” secondo un eufemismo molto diffuso, ma uccidere i lupi per risolvere conflitti locali è come spalmare Voltaren sulle ernie del disco. Cura il sintomo ma non elimina la causa del male. Pensiamo poi a come hanno fatto i nostri antenati a estirpare il lupo. Non soltanto con le pallottole, come si immagina oggi. Hanno agito – forse inconsapevolmente – su tre fronti. Primo: hanno distrutto la casa dei lupi, cioè hanno tagliato continuamente i boschi a partire dal secondo Medioevo. Secondo: hanno eliminato il cibo dei lupi, ammazzando progressivamente cervi, caprioli, cinghiali, stambecchi (tranne che al Gran Paradiso) e tutte le altre potenziali prede più piccole. L’ultimo fattore – solo l’ultimo! – è stato l’uccisione diretta perpetrata, ricordiamocelo, non solo con i fucili (che erano imprecisi e fallaci ma soprattutto costosi e irraggiungibili per gran parte dei montanari e dei contadini). Gli strumenti principali sono stati tagliole, trappole di ogni forma e acuminatezza, bocconi avvelenati, catture dei cuccioli dentro le tane e immediata esecuzione sul posto sbattendoli contro le rocce o lanciandoli nei precipizi. Chi oggigiorno invoca la caccia diretta come “soluzione finale” dimentica che in passato ha avuto un ruolo secondario – anche se esaltato come sempre dall’aneddotica venatoria maschile. Allora la conclusione del mio ragionamento, caro editore, è la seguente. I nostri avi non potevano conoscere l’insostituibile funzione del lupo e degli altri predatori nel mantenere gli equilibri degli ecosistemi naturali. Questa ignoranza giustifica storicamente il loro operato ma non permette di fare altrettanto a noi che “abbiamo studiato”. Oggi il lupo è un animale protetto a livello internazionale ma questa forma di tutela è una decisione umana, un provvedimento politico, potremmo dire una scelta democratica. Nell’eventualità che in futuro si decreti altrettanto democraticamente di modificarla, dobbiamo essere consapevoli che – ammesso e non concesso che volessimo sterminare i lupi – non basterebbero le fucilate: dovremmo ricominciare a impiegare tutti i metodi sopra descritti. Almeno quelli legali, visto che tagliole, trappole, lacci ed esche velenose sono fuorilegge (e ci mancherebbe, aggiungo io). Dovremmo prima di tutto eliminare nuovamente tutti i cervi, tutti i caprioli, tutti i cinghiali, con buona pace di cacciatori, animalisti e legislazione di settore. Contemporaneamente dovremmo disboscare forsennatamente ogni collina, montagna, appennino e prealpe d’Italia, con buona pace di altre leggi, del dissesto idrogeologico e dell’anidride carbonica che invece di essere assorbita sarebbe ancor più emessa. Il tutto, senza dimenticare che i nostri nonni sono sì riusciti a sradicare i lupi ma ci hanno messo circa quattrocento anni.
Non solo il lupo entra in conflitto con le attività umane. Gabbiani che beccano teste, conigli che colonizzano cimiteri e scavano ossa umane, poi scoiattoli e cormorani invadenti, nutrie e volpi confidenti, istrici pungenti e avvoltoi spaventosi, pappagalli esotici, zecche infette, storni scagazzanti e cinghiali sopra tutti. Fuori Italia si segnalano puma, coccodrilli, ippopotami, elefanti, orsi bianchi, bruni e neri. Per tacere di serpenti e insetti vari, che da soli uccidono ottocentomila persone all’anno secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Nei prossimi decenni le occasioni di interazione aumenteranno: da un lato si ingrosseranno gli abitanti dei centri urbani – che quindi occuperanno ulteriori aree oggi ancora seminaturali – e dall’altro le nuove città saranno più sostenibili, ecologiche, green e quindi diventeranno sempre più attrattive per i selvatici, più di quanto succeda ora a causa dei ben noti fattori facilitanti (cibo comodo, temperature maggiori, assenza di predatori).
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Caro editore, dopo la stampa del libro il mio archivio di immaginario, citazioni, mitologia, riferimenti, riflessioni, ha continuato ad arricchirsi. Gran parte del merito lo devo ai lettori e a coloro che hanno partecipato alle presentazioni, perché mi hanno inviato materiale che ignoravo. Se pubblicherai questa lettera, sapranno quanta riconoscenza conservo per tutti loro. Cominciamo dai titoli dei libri: ora sono oltre seicentoventi nella mia collezione. A seguire ti offro qualche nuova citazione, sempre senza un ordine ragionato.
I gemelli Apollo e Artemide furono partoriti dalla lupa Leto. Presso gli etruschi il dio Aita, la divinità dell’oltretomba, indossava una pelle di lupo come mantello e una testa di lupo come cappello: il lupo era il collegamento con il mondo ultraterreno. Il popolo turco è fiero di essere stato allattato da lupe ancestrali e Mileto, eroe cretese, venne abbandonato dalla madre e fu cresciuto da alcune lupe mandate dal dio Apollo. In questi casi il lupo viene associato alla genitorialità, alla fecondità e alla fondazione di una stirpe e di una civiltà, in un’accezione del tutto positiva, come nelle più note storie del Libro della giungla, altro racconto di formazione ed educazione sociale condotto dal saggio capobranco Akela. In questo senso i lupi ci offrono un insegnamento primordiale che avrebbe intrigato Proudhon e Bakunin: la libertà individuale è sacra (tanto che noi umani ne vediamo proprio nel lupo un simbolo) ma soltanto se è inscritta nelle regole sociali familiari, nella legge del branco. Non c’è libertà senza regola.
Nella tradizione marinaresca la Bocca di lupo è una lavagna su cui vengono segnate le merci e soprattutto i nomi degli uomini ritornati dopo una navigazione. Trovarsi su quella lavagna significava allora aver fatto ritorno in porto sani e salvi.
Erasmo da Rotterdam disse «l’uomo per l’uomo o è un Dio o è un lupo». Wolfgang Goethe: «il lupo in vesti di agnello è meno pericoloso che l’agnello in qualunque altra veste che lo faccia apparire qualcosa di più di un agnello». E James Joyce: «si può anche passare sopra a un morso di un lupo, ma non al morso di una pecora».
Mario Tozzi sulla Stampa del 9 febbraio 2022 ha scritto: «un pianeta che ospita forse qualche centinaio di migliaia di lupi e quasi mezzo miliardo di cani domestici ha già fatto una serie di scelte devastanti e sembra apprezzare la vita selvatica solo se assomiglia a un cartone di Walt Disney», e Roberto Gervaso: «il lupo cambia il pelo, non il vizio. L’uomo, neanche il pelo».
Il capitolo “Come parlare agli animali” scritto da Umberto Eco in Il secondo diario minimo (1987, quando sono stato assunto nel Parco dove lavoro ancora) è da rileggere per intero. Lo avessi conosciuto prima, lo avrei citato a pagina 67 nell’evocare la catastrofe che avverrà quando un lupo mangerà nuovamente un italiano.
Clarissa Pinkola Estes (quella di Donne che corrono con i lupi) ha detto: «i lupi sani e le donne sane hanno in comune alcune caratteristiche psichiche: sensibilità acuta, spirito giocoso e grande devozione. Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi, si occupano intensamente dei piccoli del compagno del gruppo. Sono esperti nell’arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli, sono gagliardi e coraggiosi. Eppure le due specie sono state entrambe perseguitate». Stimolante parallelo tra femminilità e lupità, presente per certi versi pure nella Bibbia e nella religione cattolica: la Madonna con tutte le sante e le beate ma anche la Maddalena e le peccatrici, prostitute, impure, ricettacolo di nefandezze, streghe, e comunque sempre in posizione minoritaria, sottomessa e defilata. Amate e odiate, adorate e condannate come i lupi.
Un’altra similitudine viene con i partigiani. Si sono rifugiati in montagna; c’erano e ti osservavano passare ma non si facevano vedere; alcuni comandanti si sono soprannominati Lupo; compivano razzie e guerriglie; erano amati e protetti dalle popolazioni locali ma anche detestati e traditi.
Dopo l’arresto di Emilio S. da parte delle autorità francesi per aver aiutato i migranti a oltrepassare la frontiera, l’artista Alleg ha dipinto sulla sua casa un murales raffigurante un lupo incatenato e Nicoletta Dosio ha commentato così: «Il grande lupo è caduto nella trappola della cosiddetta giustizia. La bilancia splendente della legge non ha piatti su cui pesare la verità, ma, sospese alle catene, due tagliole che tramano insidie ed è sormontata da un orologio a scandire il tempo arbitrario del potere. Egli tenta di liberarsi, i muscoli tesi, le grandi fauci aperte tra ira e dolore, pronto a tranciarsi la coda per recuperare la libertà, anche a costo della vita. Ma il grande lupo non è solo. Due minuscole figure, una cornacchia e un topolino, brandiscono un paio di tronchesi contro trabocchetti e catene. Sono piccoli ma tenaci e la tagliola della legge non riuscirà a fermare il loro umile, paziente coraggio. Presto, insieme al lupo, riguadagneranno le vie libere del bosco. In questa bellissima e commovente opera Alleg ha saputo dare forma, voce e colori a questa nostra collettività che nella lotta è rinata e vi ritrova ogni giorno le ragioni e la forza di una tenace felicità».
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Anche i migranti continuano ad appaiarsi con i lupi. Di entrambi abbiamo bisogno, ci sono necessari, ma di entrambi vaneggiamo la scomparsa, la riduzione, la gestione dei flussi. Senza badanti o senza sikh non avremmo assistenza ad anziani né parmigiano reggiano, senza lupi non avremmo equilibri faunistici né immaginario collettivo. In Val Susa, vicino al confine francese quotidianamente infranto da disperati di passaggio, una fototrappola del monitoraggio nazionale di cui sopra è stata spostata perché riprendeva, sul medesimo percorso, sia lupi sia migranti. Non abbiamo voluto invadere la loro privacy (anche per via delle conseguenze legali e giudiziarie). Come scrivevo un anno fa, per i lupi i confini non esistono. Al massimo, esistono orizzonti. Sempre lontani, sempre irraggiungibili come l’Utopia nella poesia di Eduardo Galeano.
Il manga Wolf’s Rain del 2003 è ambientato in un futuro dove gli umani credono di aver sterminato tutti i lupi i quali in realtà hanno assunto sembianze umane e vivono in mezzo a loro fino al raggiungimento del Rakuen, il paradiso dove potranno finalmente trovare la pace. Nel film di animazione Wolf Children due bambini figli dell’ultimo lupo giapponese e di una ragazza hanno la capacità di trasformarsi in lupi. È stato prodotto un gioco a quiz dedicato al lupo, Wolf quiz app. Carino, è un buon esempio di divulgazione scientifica moderna. Cercandolo su Google Play per scaricare la app ci si imbatte in una applicazione dal nome simile, Quiz teen wolf, ispirata però a una serie on line.
Presi collettivamente, Homo sapiens e Canis lupus, siamo i due animali nella storia del pianeta che hanno mangiato più organismi viventi di chiunque altro, visto il nostro amplissimo spettro alimentare e la nostra plasticità adattiva. Dai topi ai granchi, dalle nutrie agli scarafaggi, dalle balene ai cammelli, e poi cani, gatti, larve e vermi, tutti i pesci possibili, tutti gli uccelli, pangolini, armadilli, caimani, tutta l’Arca di Noè, non c’è specie che uno di noi due non abbia mangiato, una volta o l’altra, a una latitudine o a un’altra, in un’epoca o in un’altra. Non ci siamo negati nemmeno il cannibalismo, tra uomini e uomini, tra lupi e lupi, tra uomini e lupi.
Arrivederci,
tuo, Luca Giunti
Susa (Torino), 15 settembre 2022