Poetessa, frocia e anarchica
Storia di Filo Sottile, punkastorie transgender non binaria.
Alessandro Cane su Il Tascabile
In un recente articolo pubblicato su Gawker lo scrittore Jason Okundaye analizza l’utilizzo dei social network da parte di attivistз, in particolar modo legatз alla comunità LGBT, lз quali grazie all’ampio seguito sono ormai diventatз verз e proprз influencer. Problematizza, infatti, la tendenza a pubblicare meme, immagini e infografiche accattivanti per affrontare temi, teorie, concetti complessi e sfaccettati attraverso un linguaggio veloce e immediato, che invita alla condivisione e alla diffusione. Nell’articolo viene messo in luce come molto spesso questi contenuti semplifichino realtà e riflessioni con il rischio di portare a fraintendimenti e ignorare aspetti delicati che necessitano una maggior attenzione e sensibilità. Okundaye si interroga sull’utilità di questo tipo di informazione e attivismo, ponendo il dubbio che, invece di far avanzare cause e lotte, serva più ad accrescere la fama dellз attivistз influencer e le loro possibilità di collaborazioni con brand e aziende.
Al di là dei giudizi e delle critiche sugli obiettivi e sui risultati reali delle singole persone, ci si può domandare se le dinamiche comunicative dei social network tendano a far emergere maggiormente il contenitore e l’individuo che il contenuto, cioè le lotte collettive. Proprio perché questi temi vengono integrati dal sistema capitalista, che regola e determina il funzionamento stesso dei social in termini economici e individualistici, le collettività appaiono depotenziate della loro carica politica, e assimilate, per renderle appetibili al mercato. In questo caso, secondo Okundaye le tematiche legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere diventano il terreno su cui costruire la propria popolarità, proponendo una versione edulcorata e rispettabile di lotte e movimenti, nati in chiave antisistema e oggi assimilati nel mainstream: l’omonormatività 2.0 dell’attivismo LGBT sui social network – per attualizzare una storica definizione della teorica Lisa Duggan (2002).
Filo Sottile si definisce una ‘punkastorie’ che usa la canzone e il teatro per raccontare le collettività di cui fa parte.
Inglobata dal sistema capitalista, che genera e mantiene intatto quell’insieme di norme e di forme di potere, oppressione e violenza, che viene definito come etero cis patriarcato, in cui l’eterosessualità, il binarismo di genere maschile/femminile e in particolare il maschile (tendenzialmente bianco) sono la normalità e dominano con i loro privilegi le altre cosiddette categorie identitarie, la lotta perde forza e spinta verso il cambiamento. Perché non è possibile mettere in discussione davvero questo impianto sociale utilizzando gli strumenti che ci vengono forniti dal sistema stesso, come scriveva la femminista Audre Lorde nel 1979: “Gli strumenti del padrone non smantelleranno la casa del padrone”. Perché la lotta contro l’etero cis patriarcato è collettiva anticapitalista, antirazzista, anticoloniale, antiabilista e transfemminista. Soprattutto deve essere in grado di cogliere le complessità del reale e fornire uno spazio sicuro, fisico e mentale, in cui rifugiarsi, riunirsi e confrontarsi al di là del clamore polarizzato e semplificato – lontano dalla visibilità a tutti i costi della singola persona – e di farsi forza politica.
Questa premessa è necessaria per parlare di Filomena Filo Sottile: una persona che, portando avanti un discorso politico antisistema che ha origini lontane, ci mostra e rende fruibili mondi e storie alternative, futuri possibili e scenari inediti di lotta. Almeno, questa è la sensazione che ho provato quando ho conosciuto e ho sentito parlare per la prima volta questa attivista, cantastorie e scrittrice che con il suo costante lavoro politico e affettivo riesce a cogliere lucidamente la necessità di un cambiamento nel linguaggio politico e nella costruzione della collettività. Chi è Filomena Filo Sottile? La biografia nell’aletta posteriore del suo libro Senza titolo di viaggio. Storie e canzoni dal margine dei generi, pubblicato da Alegre nel 2021, la definisce “una terrona nata a nord-ovest nei tardi anni Settanta”, che ora vive nel torinese vicino alle rive del fiume Sangone. Lei stessa parla di sé come una punkastorie, che usa la canzone e il teatro per raccontare le collettività di cui fa parte. Ma la migliore definizione per Filo è quella presente in una pagina del suo diario e riportata in Senza titolo di viaggio: “Io voglio vivere, e voglio essere frocia, lagnusa, anarchica e poetessa”.
Questa affermazione, all’apparenza chiara, semplice e diretta, è una matassa aggrovigliata di storie, personali e collettive, di lotte, di momenti di gioia e sofferenze. Per raccontare a poco a poco chi è Filo Sottile è necessario sbrogliare i fili che tessono la sua storia, che raccoglie vite, esperienze e memorie di tantз. Come afferma lei stessa durante una nostra conversazione telefonica: “In quella frase forse non si vede, ma dietro quell’elenco di parole c’è una spinta collettiva… Quello che faccio come cantastorie, come scrittrice, è prendere quel lavoro relazionale, sociale e politico che viene fatto nei movimenti che ho attraversato, trattarlo e renderlo fruibile”.
Tiriamo allora il filo della matassa e vediamo dove ci porta. Filo Sottile è una persona transgender non binaria che utilizza i pronomi femminili. Nel 2021 ha pubblicato Senza titolo di viaggio. Storie e canzoni dal margine dei generi, in cui racconta la sua esperienza e il suo processo di affermazione di genere. L’idea del libro – sviluppata a partire da un articolo pensato per Giap, il blog della Wu Ming Foundation – nasce dall’urgenza di riflettere su e denunciare la discriminazione sul luogo di lavoro dovuta alla sua identità di genere. Su proposta di Wu Ming 1 quel testo, mai pubblicato, si è trasformato in un libro in cui l’autobiografia si mescola alla saggistica, al racconto fantastico e alla poesia, affrontando le discriminazioni subite dall’autrice in ambito medico e lavorativo, e le difficoltà e le violenze che le persone trans incontrano in Italia. Filo ci parla di burocrazia, delle lunghe trafile per ottenere i documenti d’identità corrispondenti al genere di elezione e dei quotidiani problemi materiali delle persone trans, come la medicalizzazione legislativa per affermare la propria identità di genere, l’invisibilità delle persone non binarie, costrette a dover scegliere un genere o l’altro per essere riconosciute giuridicamente, il costante misgendering – essere lettз socialmente come appartenenti al genere diverso dal proprio – e il deadnaming – l’utilizzo del nome anagrafico rispetto a quello scelto dalla persona.
Il suo Senza titolo di viaggio è anche una ricerca di un immaginario differente per raccontare le esistenze e le esperienze di persone trans, perché Filo trasforma il suo vissuto personale in una storia collettiva, politicizzando la sua esperienza.
Eppure il libro è anche una ricerca di un immaginario differente per raccontare le esistenze e le esperienze di persone trans, perché Filo trasforma il suo vissuto personale in una storia collettiva, politicizzando la sua esperienza e rendendo conto del supporto che movimenti e assemblee transfemministe possono dare per non fare sentire sole le persone trans e non binarie. È un immaginario che Filo riesce a raccontare, non solo facendo riferimento a testi femministi come Elogio del Margine di bell hooks, ma anche utilizzando la letteratura e il cinema fantastici e fantascientifici come metafore per rendere comprensibili teorie e analisi, perché, come mi spiega durante la nostra conversazione, “la letteratura di speculazione ragiona sull’esperienza politica ed esistenziale degli esseri umani, provando a uscire dal nostro quotidiano e guardarlo attraverso le lenti del fantastico. In questo modo penso che la fantascienza ci restituisca un’immagine più veritiera o più efficace dell’esistenza delle persone ai margini della società”. Questa metodologia analitica Filo l’aveva già sperimentata in un altro libro, La Mostruositrans, un pamphlet pubblicato nel 2020 da Eris. Attraverso una carrellata di mostri e vite mostruose provenienti dalla narrativa fantastica dell’Ottocento e contemporanea e dal cinema, Filo riflette sulla mostrificazione e sulla rivendicazione della propria mostruosità da parte delle persone queer e transgender.
Quando Filo afferma di voler essere frocia, da una parte rivendica su di sé un termine derogatorio e mostrificante, dall’altra l’appartenenza a una collettività in lotta per affermarsi politicamente ed esistenzialmente contro l’etero cis patriarcato. Una collettività queer come quelle che Filo ha attraversato e attraversa oggi a Torino, il collettivo SeiTrans?. È un gruppo di lavoro nato dalla necessità estremamente concreta di denunciare le liste d’attesa infinite a cui le persone trans sono costrette a sottoporsi per iniziare e portare avanti il proprio percorso di affermazione di genere in Piemonte e Valle d’Aosta, e la mancanza di strutture e personale adeguati. Da gruppo di lavoro è diventato un collettivo politico, che intende potenziare il pensiero e l’azione delle persone transgender in Piemonte attraverso una rete di supporto che prescinda le istituzioni stesse. Alla base di questo progetto è evidente la necessità di cambiare il linguaggio, le relazioni e le narrazioni che riguardano le persone transgender in Italia, combattendo non solo l’invisibilità delle loro istanze, ma anche la loro rappresentazione mediatica al di là di stereotipi e/o della loro vittimizzazione.
Tutte le volte che qualcunз trasgredisce alle norme di genere, in realtà sta soltanto relazionandosi in una maniera diversa da quella socialmente accettata. Non è una cosa endogena, ma è una cosa che nasce a contatto con il reale e con le sue infinite variabili.
Per Filo “essere persone trans è, più che un’identità, una maniera di relazionarsi alle altre persone, agli altri esseri viventi, e al mondo. Viviamo in un ambiente sociale e culturale all’ombra di questi grandi baluardi del maschile del femminile archetipici… Per cui tutte le volte che qualcunз trasgredisce alle norme di genere, in realtà sta soltanto relazionandosi in una maniera diversa da quella socialmente accettata. Non è una cosa endogena, ma è una cosa che nasce a contatto con il reale e con le sue infinite variabili”. La riflessione di Filo ricorda per certi versi quelle della teorica Sara Ahmed. In Queer Phenomenology (2006) Ahmed analizza il modo in cui i corpi si relazionano e si plasmano fenomenologicamente gli uni con gli altri, in quello che definisce “orientamento”. Orientarsi significa prendere consapevolezza della propria presenza e delle proprie relazioni fisiche e affettive con l’altro da sé, ma questo non può avvenire senza un processo opposto, il disorientamento, il senso di spaesamento e perdita che l’altro da sé può provocare. Proprio in questo Sara Ahmed vede la potenzialità politica di quei corpi che disorientano la norma e si e ci riorientano secondo nuove relazioni e modi di esistere. Le assemblee e i collettivi diventano lo spazio in cui ripensare e riorientare le relazioni, affrontare i conflitti e le divisioni e provare a immaginare e costruire un mondo diverso. Per Filo il mettersi insieme e condividere lotte e conflitti offre la possibilità di intravedere nel presente il futuro, l’orizzonte di là da venire e, per citare lo studioso José Esteban Muñoz nel suo saggio Cruising Utopia, il baluginio dell’utopia queer, “Il rifiuto del qui e ora e l’insistenza sulla potenzialità o sulla possibilità concreta di un altro mondo”.
Nella vita di Filo Sottile ha un ruolo fondamentale un altro movimento, quello No Tav, a cui si avvicina per caso nel 2003. In un articolo, diviso in due puntate, pubblicato nel 2018 su Giap, intitolato SI TRAV. Come la militanza #NoTav mi ha dato il coraggio di diventare me stessa, ricorda l’importanza della nascita nel 2011 della Libera Repubblica della Maddalena, località vicino a Chiomonte, un territorio autonomo presidiato dal movimento No Tav per impedire l’apertura dei cantieri della grande opera e sgomberato violentemente dalle forze dell’ordine dopo ventitré giorni. Per Filo è stato “uno degli esperimenti di autogestione più avanzato degli ultimi decenni in Italia” in cui è stato possibile “sperimentare pratiche ed esperienze che sembrano venire direttamente da quella dimensione futura in cui hai già vinto, la realtà parallela in cui l’umanità si è già liberata dal capitalismo – e magari persino dall’eteropatriarcato – e siamo tutte persone libere” (da SI TRAV). Dall’esperienza No Tav Filo apprende proprio ciò che definisce “la disciplina della disobbedienza” e da qui deriva la sua rivendicazione dell’essere lagnusa e anarchica. Lagnusa, come mi spiega Filo stessa, “è un termine dialettale marsalese ed è un falso amico, che in realtà non vuol dire lagnosa, ma vuol dire persona refrattaria al lavoro… con questo rivendico il sottrarsi, o il volersi sottrarre a una logica capitalista che mette a reddito le nostre vite e le nostre esistenze e non collaborare con un determinato tipo di sistema e pensiero” individualista e basato sullo sfruttamento. Questo sistema disciplina corpi, identità e desideri, perché più sono normati e classificabili più diventano e si mantengono produttivi ed è qui che la lotta all’etero cis patriarcato si unisce a quella anticapitalista, perché come sostiene Filo Sottile: “ci rifiutiamo di guardare alle istanze transfemministe come lotte esclusivamente identitarie. Riconosciamo la nostra azione come lotta di classe… L’oppressione e la discriminazione non hanno niente di naturale, sono il frutto di rapporti sociali ed economici e hanno radici storiche precise” (Senza titolo di Viaggio).
Filo, come poetessa e cantastorie, vede nel teatro e nella poesia gli strumenti per parlare e mostrare il lavoro sociale e politico dei movimenti e dei collettivi di resistenza alla norma: una modalità di costruire immaginari alternativi e cantare le persone ai margini della società.
Filo, come poetessa e cantastorie, vede nel teatro e nella poesia gli strumenti per parlare e mostrare il lavoro sociale e politico dei movimenti e dei collettivi di resistenza alla norma: una modalità di costruire immaginari alternativi e cantare le persone ai margini della società. Per anni ha portato in giro per l’Italia in centri sociali e autonomi spettacoli e concerti, ma in particolare mi vorrei focalizzare su La punk spiegata alla nonna del 2018, perché è il primo in cui si presenta al pubblico come persona trans e testimonia il suo percorso politico, personale e collettivo. Per Filo è “uno spettacolo queer di frocianza, di devianza e di marginalità orgogliosamente rivendicata” in cui in un’immaginaria seduta spiritica evoca sua nonna e affronta con lei il coming out non solo come persona trans, ma anche come punk. Per punk non intende solo il movimento nato negli anni Settanta nel Regno Unito, ma soprattutto come “una categoria astorica”, come sinonimo di disobbedienza e infrazione alle norme sociali, vissute consapevolmente e orgogliosamente ai margini, il rifiuto del centro e dell’assimilazione mainstream. Filo sceglie di fare questa rivelazione alla nonna, con cui ha passato gran parte dell’infanzia, come un omaggio e un atto di gratitudine nei confronti di una persona, che pur non conoscendo il significato della parola punk, nella sua vita ne ha incarnato i principi, come mi racconta Filo: “nata alla fine degli anni venti in una famiglia contadina a Marsala in Sicilia, era una donna che veniva meno a tutta una serie di diktat sociali e di genere. Per questo indirettamente è stata fondamentale per la mia formazione politica”. Nello spettacolo Filo mette in luce come le norme sociali siano utilizzate dal potere per il mantenimento degli interessi del capitalismo neoliberista, dei privilegi dell’etero cis patriarcato bianco e abilista. Con il suo cantare, invece, suggerisce come sia possibile costruirsi in autonomia e autosufficienza nei margini, lavorando dal basso con forme di autogestione, mutualismo e supporto collettivo in modo da mettere in luce le incapacità e la debolezza delle strutture sociali istituzionali. Per questa ragione Filo si definisce poetessa, perché etimologicamente è legata all’idea del fare e dell’intraprendere azioni, rivendicando la potenzialità trasformativa della parola e della poesia.
Ecco che una volta sciolta la matassa-storia di Filo appare evidente la sua capacità di raccontare e rendere fruibili le storie dei movimenti che ha attraversato. Il teatro e la scrittura aprono alla possibilità di utilizzare strumenti alternativi all’attivismo mainstream. Sono forme di divulgazione e formazione, che hanno una lunga storia, ma nell’attualizzarle assumono un potenziale politico trasformativo inedito, proprio perché riescono a combinare immaginari nuovi e antichi, perché permettono la condivisione e la partecipazione attiva dellз spettatorз, perché sanno cogliere le sfumature e la molteplicità del reale, perché ci invitano allo stare insieme, alla forza della collettività, a farci dire: “Non siamo solx. «Lottiamo»” (Senza titolo di Viaggio) contro la norma, l’individualismo e l’assimilazione e la capitalizzazione dei nostri corpi e desideri.