Quella volta che Fantozzi si candidò con Democrazia proletaria
Il debutto di Villaggio in campagna elettorale è datato 23 maggio [del 1987, ndr] , e per Dp è sicuramente un bel colpo messo a segno, mediaticamente parlando. A Villaggio i giornalisti chiedono se in Parlamento vedremo il personaggio dei suoi film. Villaggio risponde «no, perché lui ogni tanto è disonesto. Dp mai. È un partito che ispira simpatia e fiducia. È il più debole, il più povero. L’unico partito però davvero cristiano in un paese che convive con la Chiesa da duemila anni».
Non sempre Fantozzi, il ragioniere più famoso d’Italia, ha voluto far ridere. Lo sfigato e vessatissimo personaggio inventato, diretto e interpretato da Paolo Villaggio stavolta ha da dire qualcosa di serio. Quando si presenta alla Tribuna elettorale della Rai, arriva però come sempre in bracaloni. Sembra quasi un amore già scritto: il ragionier Fantozzi, vittima da sempre del potere dei grandi e delle bassezze dei suoi pari, si presenta con quelli destinati a perdere sempre ma che con più radicalità denunciano un mondo che va alla rovescia.
Ecco cosa dice agli italiani seduti sul divano: «Scusatemi se… oggi forse, anche se sono vestito da clown… lo vedete sto facendo un film comico, questo è il mio mestiere, fare il clown… oggi io clown non vi farò ridere, anche se molti in questi giorni, moltissimi, anche illustri grandi giornalisti mi hanno scritto “tu che non mi hai mai fatto ridere questa volta con questa scelta un po’ bizzarra, donchisciottesca, questa volta mi hai fatto morire dalle risate”. Be’, se come temono molti io avessi avuto nel mirino questa scelta di far parlare di me e di promuovere il clown Villaggio avrei scelto forse partiti di potere. La Dc che ha epurato sì il fascismo ma ha restaurato poi il fascismo, stesse leggi, codice Rocco eccetera, sarebbe stato il partito dal quale trarre più vantaggi. Avrei potuto continuare a militare nelle file del Pci… io non ho mai militato, ma ho sempre votato civilmente con molta fedeltà. Poche ore prima delle chiusura delle liste sono andato a trovare uno strano gruppo di proto-cristiani in una specie di topaia in via Farini, è la sede di Democrazia Proletaria: per la prima volta mi sono trovato di fronte a un vero gruppo, una piccola setta illuminata da uno spirito che da molti anni, da molti secoli in Italia manca. E con questo vi abbraccio tutti, cristianamente anche».
Il regista e attore dice subito che se verrà eletto non andrà a fare l’onorevole, perché lui è lì solo per raccattare voti e poi «in Parlamento di clown ce ne sono già tanti». Il primo comizio dura dieci minuti ed è quasi uno show: se sceglievo il Pci mi garantivo un funerale alla Guttuso, scherza. «Ho scelto invece Dp perché quell’anima francescana che abita con me ha deciso di venire allo scoperto e testimoniare. Testimoniare che in Italia se sei parte di una minoranza, se sei un handicappato, un tossicodipendente, uno sfruttato, hai una sola possibilità: il partito di Capanna. Gli altri si dicono cattolici, ma vivono pieni di egoismo e compromessi».
Tra l’ironia mista al sarcasmo e alla sua solita disillusione, ecco la verità di Villaggio, su questa sua candidatura improbabile nel momento forse migliore della sua decennale carriera di comico: «L’ho fatto perché mi è piaciuto pensare che a 54 anni potevo guardarmi allo specchio e piacermi».
*Stralcio dal libro Gli ultimi mohicani. Una storia di Democrazia proletaria di Matteo Pucciarelli (Alegre, 2011)