Storia di Anina, alla Sorbona partendo dal campo rom
Dalle baracche di Roma agli studi alla Sorbona per diventare magistrato della Repubblica francese. Anina Ciuciu, ventiseienne rom rumena, ha appena pubblicato Sono rom e ne sono fiera (Edizioni Alegre), traduzione della sua biografia che in Francia ha venduto oltre diecimila copie. Il 6 dicembre, al Centro di ricerca sulle Relazioni Interculturali dell’Università Cattolica di Milano, si è svolta la prima delle presentazioni italiane.
Quando aveva sette anni, Anina partì con la sua famiglia da Craiova lungo la stessa strada ora percorsa da tanti profughi: l’Ungheria, la Serbia, la Slovenia e poi l’Italia. Il camion che li trasportò aprì il suo cassone davanti a Casilino 900, il più grande campo nomadi d’Europa.
«Sino ad allora – ricorda Anina – il mio naso aveva respirato il profumo dei fiori, delle arance, del sole. Ora l’acre odore della legna bruciata riempiva le mie narici». Oggi Casilino 900 non esiste più, dal 2010 i rom sono stati spostati in altri campi ancora più isolati e ghettizzanti. Nel tempo, tanti hanno condotto una vita di stenti in quel luogo: negli anni Cinquanta i pugliesi e gli abruzzesi dell’Italia post-bellica vi avevano costruito le loro baracche, sopravvivendo con il piccolo commercio abusivo, l’elemosina, i lavori domestici. Sono i baraccati di cui parlano le pagine di Pier Paolo Pasolini. Negli anni Ottanta il loro posto fu preso dai rom che fuggivano dalla disgregazione della Jugoslavia, a cui si aggiunsero negli anni Novanta, in un lembo di terra strappato alla vicina discarica, i rom rumeni. «Quando vi ho abitato – racconta Anina – anche io non andavo a scuola. Questo fatto non c’entra nulla con una presunta cultura rom, ma piuttosto con le “malattie della povertà” di chi vive nelle baraccopoli».
Nel 1997 la sua famiglia partì per Bourg-en-Bresse, dove visse per alcuni mesi in un furgone. Qui, grazie all’aiuto di due donne, avviene la svolta: trovano un appartamento presso il Quale i Ciuciu possono alloggiare, Anina inizia a studiare il francese. Nei primi tempi deve nascondere di essere rom: «La mamma – racconta – non arrivava fino all’uscita di scuola, ci aspettava pochi isolati prima, dietro un muro. Un giorno non ho più accettato di dovermi vergognare di mia madre, ho detto a tutti che ero rom». Alla clandestinità segue la regolarizzazione e con essa i successi scolastici fino alla Sorbona, una delle più prestigiose università europee.
Anina ha mantenuto le sue radici, parla il romani, cucina secondo la tradizione familiare. Ma si considera anche francese e rumena ed è orgogliosa di esserlo. L’edizione francese del libro è del 2012, in risposta «al dibattito violento segnato dalle espulsioni volute dall’allora presidente Sarkozy».
«Quella italiana – prosegue Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, che ne firma la prefazione – è lo schiaffo all’ignoranza e all’ipocrisia in cui siamo impantanati. Anina non è un personaggio straordinario, né una donna fuori dal comune. È semplicemente una ragazza rom a cui è stata offerta un’opportunità che lei ha saputo e voluto cogliere». La stessa che stanno aspettando i ventimila minori rom presenti nelle baraccopoli italiane, che soffrono i ghetti fisici e quelli mentali. E che attendono ciò che Danilo Dolci riassumeva con le parole: “Ciascuno cresce solo se sognato”.