«Su Cucchi grande attenzione ma non bisogna abbassare la guardia»
«Un fotografo voleva riprendere mia madre e me mentre alzavamo una coppa che Stefano aveva vinto agli scout. Alcuni conoscenti ci telefonano per scusarsi di certe frasi non dette ma che qualche nota testata giornalistica gli ha attribuito. Abbiamo sorpreso un giornalista ad aprire i libri di Stefano e tirar fuori un foglio scritto da lui: diceva che sarebbe stato bello far vedere a tutti una poesia di mio fratello». Ilaria Cucchi da quaranta giorni ha a che fare con l’uccisione di suo fratello e con la morbosità della stampa.
La storia di Stefano Cucchi inizia come quella di Federico Aldrovandi, dentro l’opacità che avvolge l’operato delle questure e delle caserme dei carabinieri, e come questa si dipana attraversando le versioni di comodo costruite dalle forze dell’ordine supportate in molti casi dalla grande stampa e dalla politica. Ma è un dato di fatto che il caso Cucchi ha ormai superato i confini dei piccoli organi di stampa che l’hanno sollevato (Liberazione, le radio di movimento, il manifesto). L’avvocato della famiglia Cucchi è il medesimo che ha condotto la controinchiesta sull’omicidio di Federico Aldrovandi. 52 anni, ferrarese, Fabio Anselmo è noto in città perché sposa cause impossibili da quando ha risolto un clamoroso caso di malasanità «anche con un ruolo fondamentale dei mezzi di comunicazione», ricorda. Da allora è spesso accusato di voler condurre processi mediatici.
Avvocato, perché il caso Cucchi ha bucato gli schermi mentre altre storie muoiono in poche righe sulle pagine interne?
Credo sia perché hanno funzionato da apripista la storia di Federico Aldrovandi e quella di Riccardo Rasman (il ragazzo triestino ucciso dalle modalità violentissime del tentativo di arresto a Trieste nel 2007, ndr). Quei casi ci hanno insegnato che situazioni ritenute impossibili avvengono, eccome.
Stavolta sembra essersi mosso un nutrito schieramento bipartisan di politici.
Di fronte alle foto terribili, scattate dagli operatori delle pompe funebri – lo sai quanto sia stata sofferta la decisione dei familiari di renderle note – i parlamentari sono rimasti di sasso.
Non ti sembra che quasi tutti i grandi organi di stampa e le trasmissioni più blasonate trattino il caso Cucchi cercando solo dettagli sulla vita di Stefano e della sua famiglia, per coinvolgere emotivamente il pubblico, ma senza mai scalfire il problema, quello della violenza dell’universo carcerario e delle forze dell’ordine?
Ho smesso di leggere i giornali, anche se so che i media sono fondamentali per inchieste di questo tipo. Però è vero che il problema carcere non viene fuori con l’evidenza che merita. A restare in ombra c’è anche lo scandalo del repartino penitenziario dell’ospedale Pertini. Lì Stefano ha perso il 20% del suo peso in quattro giorni. La Procura sembra sottovalutare questo aspetto perché, sostiene, fosse già debilitato per via della sua magrezza. Noi però abbiamo le prove che Stefano la sera dell’arresto era stato nella palestra che frequentava abitualmente e la sera prima era in sauna. Cucchi andava tutte le mattine a messa, poi a correre, portava a spasso al cane. Un po’ difficile se avesse avuto le vertebre rotte.
Torniamo al rapporto con la stampa: che differenza noti tra il caso Aldrovandi, in cui faticavi per richiamare l’attenzione dei giornali ferraresi e questa vicenda che ti vede consultato spessissimo?
Quando ci siamo occupati di Federico abbiamo dovuto fare uno sforzo enorme per smontare le versioni ufficiali. E io sono finito indagato come anche voi che avete iniziato a scriverne. In Italia i giornalisti, troppo spesso, sono timidi con chi fornisce loro le informazioni: le questure, le procure, la politica. E’ anche vero che c’è una differenza tra una storia che avviene a Ferrara e la stessa storia che accade a Roma.