Un ebreo devoto alla causa palestinese
Un saggio, radicale di sinistra. E’ così che lo descrivono i suoi amici. Ma Michel Warschawski è innanzitutto un uomo originale. Un uomo che si è immerso nell’ebraismo fin dall’infanzia – suo padre era il grande rabbino di Strasburgo – e che finirà per divenire, lo spiega lui stesso, “completamente ateo”. Resta comunque un tradizionale, un po’ alla “vecchia maniera”, scherza il suo amico Dominique Vidal, vecchio giornalista del Monde diplomatique. “Michel non salterà mai uno shabbat” rivela ridendo. La sua apparenza traduce la sua età: i capelli grigi tirati all’indietro, la fronte stempiata, la pelle scura, i baffi alla Brassens come solo i sessantenni li sanno portare.
Michel Warschawski emigra in Israele poco prima della maggiore età, negli anni 60. Adotta subito la causa palestinese che sarà la sua per il resto della sua vita. Si fa conoscere molto rapidamente per le posizioni radicali contro l’occupazione israeliana nei Territori palestinesi. Diventa un anticolonialista affermato, un ebreo rinnegato, un uomo bandito dal potere. Mentre la sua fede scompare, il suo impegno politico non fa che crescere. Si avvicina al movimento trotzkista dove incontrerà intellettuali di sinistra come Edwy Plenel.
“Lo chiamiamo tutti Mikado. Era il suo pseudonimo e poi è divenuto il suo soprannome. Michel è un amico che non ho mai perduto di vista” ricorda l’ex direttore di Le Monde. “Veniamo entrambi da un trotzkismo non settario, internazionalista, profondamente umanista. Si trattata di rifiutare i comportamenti di Israele opponendosi alla strumentalizzazione fatta della Palestina dai paesi arabi” prosegue. Ancora oggi, i due “baffoni” si vedono quando è possibile. Il giorno dopo la consegna del Premio dei diritti umani da parte della ministra della Giustizia, Christiane Taubira, lunedì, hanno pranzato insieme…con tre ambasciatori palestinesi. Non cambiano mai.
“Eravamo trattati come dei paria” (Warschawski)
Fino alla guerra del Libano, Michel Warshawski conosce in Israele una vita marginale. “Eravamo trattati come dei paria” racconta. “Vivevamo nell’ostracismo più totale. A quell’epoca, non era tanto una repressione poliziesca quanto sociale”, ricorda. Nel 1982, dopo il massacro di Sabra e Chatila, la società civile insorge. La popolazione è scandalizzata. “Noi che eravamo degli esclusi, diventiamo di moda. Cominciamo ad andare in tv, a essere invitati ai convegni”.
Nel 1984, fonda il Centro di informazione alternativo (Aic), una delle rare Ong ad avere la doppia etichetta israelo-palestinese. Il suo ruolo? Far circolare le informazioni, denunciare quelli che ritiene degli abusi. “Aiutavamo delle organizzazioni pro-palestinesi a pubblicare dei volantini. Alcuni erano legati all’OLP (all’epoca considerata da Israele un’organizzazione terrorista, ndt). Li coprivamo” sostiene l’attivista. “Abbiamo tirato l’elastico delle libertà pubbliche fino al massimo, forse anche al di là” concede. Questi fatti gli valgono una reputazione di estremista, se non di terrorista, poi un processo. E’ condannato a otto mesi di prigione “per prestazioni di servizi a organizzazioni illegali”.
“Israele, il cane da guardia dell’occidente” (Warschawski)
Quando va in prigione a scontare la pena, Warhchawski ha 41 anni. I suoi amici organizzano un corteo di auto. Se ne ricorda con nostalgia: “I vicini, yemeniti o curdi in maggior parte, ci avevano portato anche dei dolci per strada. Mi dissero una cosa tipo: “Lo sappiamo che sei comunista, diciamo un sacco di cose alle tue spalle, ma comunque ti vogliamo bene”. A partire dagli anni 2000, il militante avverte un rigetto latente per la causa per la quale si batte. “La verità è che al momento degli accordi di Oslo nel 1991 avevamo creduto di giungere in cima. Poi siamo caduti e abbiamo compreso che era solo una parentesi”.
Mikado riprende allora la sua lotta. Non censura mai le sue parole, non l’ha mai fatto. Il suo discorso è radicale. Non vede “alcuna simmetria” nei rapporti Israele-Palestina. Se i suoi amici gli concedono “una grande saggezza”, Warschawski non è mai misurato nelle sue proposte. E questo gli provoca dei guai. Descrive i crimini israeliani come delle prove. Gli israeliani lo dipingono come un agitato. “Israele non avrebbe mai tre miliardi di dollari l’anno se non avesse la guerra” si accalora. Non so più quale generale ha detto che Israele è il cane da guardia dell’Occidente. Ma il ruolo di un cane non è sempre quello di mordere. E il problema di un cane è che a volte non segue quello che ha in testa”. I suoi detrattori lo accusano di denunciare gli abusi israeliani ma di nascondere quelli commessi dai palestinesi. Warschawski si difende con vigore: E’ completamente falso: ho sempre detto che la causa palestinese era un mezzo utile per le dittature araba per distogliere l’attenzione delle masse”.
“Nessuna ricompensa per i traditori” (Dora Marrache)
In Francia, Michel Warschawski è poco conosciuto. Il solo pronunciare il suo nome fa tremare una parte della comunità ebraica. Quando si è saputo della sua nomina al Premio dei diritti dell’uomo, c’è stato un diluvio di proteste. Sui blog delle radio ebree francofone Dora Marrache dice: “No, no e no! Nessuna ricompensa ai traditori”. L’opinionista scrive: “La peggior catastrofe che possa giungere a Israele sarebbe di essere governata da estremisti, traditori come voi che, per farsi notare dalla comunità internazionale e dagli arabi, si piegherebbero a tutte le esigenze palestinesi”.
Richard Prasquier, presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif) ha scritto una lettera aperta a Christine Lazerges, presidente della Commissione nazionale consultiva dei diritti dell’uomo (Cncdh). Vi denuncia questa nomina. Da parte sua, la Cncdh ha risposto semplicemente che il premio ricompensa un progetto, quello dell’Aic, e non un uomo. Dietro le quinte si dice anche che Christiane Taubira ha fatto prova di “coraggio politico consegnando questo premio a Warschawski”.
“Michel onora la Francia” (Leïla Shahid)
“Michel viene presentato spesso come una specie di antisemita. Io, ogni volta che sono stato trattato in questo modo, ho chiesto un diritto di risposta. Ma per lui le cose sono diverse. Io sono cittadino francese di origine ebrea. Lui è cittadino ebreo israeliano. Chi se ne frega del parere del Crif” spiega Dominique Vidal. Naturalmente, Warschawski ha anche i suoi giudizi: “Leggo spesso delle riviste americane ebree e, credetemi, ho molti disaccordi con esse. Ma la riflessione degli intellettuali ebrei francesi che affrontano la questione palestinese è desolante. Un vero casino”.
Per tutti gli ardenti difensori della causa palestinese, la consegna di questo premio è una grande vittoria simbolica. Edwy Plenel ne resta profondamente emozionato: “Tra qualche anno ci si domanderà perché gente come Mikado non è stata ascoltata. Lui dice il giusto, il ragionevole, la verità”. Leïla Shahid, delegata generale dell’Autorità palestinese presso l’Unione europea, amica di lunga data di Warschawski, acconsente: “Questo premio non onora solo Michel. Onora una via dedicata al rispetto dei diritti dell’uomo. Michel onora la Francia”. Per parte sua, Warschawski, traccia la sua esistenza con un nuovo paradosso, una frase che suo padre avrebbe pronunciato all’epoca del cinquantenario di Israele: “Sono fiero di quello che fa mio figlio ma avrei preferito che lo facesse con una kippa sulla testa”.