Descrizione
Il 9 luglio 2021 una mail arriva di prima mattina ad annunciare la chiusura dello stabilimento e il licenziamento di cinquecento operai e operaie dell’impianto Gkn di Campi Bisenzio che produce semiassi per i principali marchi del comparto automobilistico. Quello di Campi non è uno stabilimento come tutti gli altri: è uno degli impianti più sindacalizzati e organizzati in Italia, e negli ultimi anni ha vinto una serie impressionante di scioperi. Se i padroni passano qui, passano dappertutto.
Il Collettivo di fabbrica nel giro di pochi minuti si presenta davanti ai cancelli della Gkn, occupati da una squadra di vigilantes privati. In breve gli operai se ne liberano e prendono in mano la loro fabbrica. Questa è la nostra casa, da qui non esce neanche uno spillo, diranno. Inizia in Toscana una summer of love operaia che vede continue assemblee, cortei, occupazioni «di botto e senza preavviso» di rotonde stradali, fumogeni, volantini e cene solidali. Quella che era una fabbrica chiusa si apre alla città e ai venti, agli studenti e agli attivisti. Diventa un laboratorio di lotta, di speranza, di un’umanità disposta a prendersi cura di una società migliore, senza svenderla ai principi del profitto.
L’apice della lotta si raggiunge a settembre con una manifestazione di quarantamila persone a fianco del collettivo Gkn. Pochi giorni ancora e un tribunale valuta come illegittimi i licenziamenti. Ma la lotta non finisce lì e continua ancora.
Continua anche la mobilitazione. Coi volantini e le marce, ma anche con gli strumenti dell’immaginario: dalla musica ai video, fino a questo progetto di scrittura working class realizzato nella forma di una cronistoria operaia di lotta, in prima persona plurale, a firma collettiva. Perché la storia operaia più bella degli ultimi anni l’hanno scritta gli operai di Gkn.
Quando venite qua ci chiedete sempre come stiamo. Tutti, dal giornalista al militante dei movimenti. Ma come volete che stiamo? Stiamo qua, in piedi, come qualcuno che ha preso una tranvata in faccia e ha ancora un po’ di lividi. Però dopo averla presa si guarda intorno e pensa che siamo ancora in piedi.
Noi stiamo così e voi come state? Voi tutti, come state? Perché la cosa è paradossale. A volte quelli che ci vengono a domandare come stiamo, stanno messi peggio di noi.