Aldo Garzia su il manifesto
ALLA RICERCA DEL GUEVARA PERDUTO
«Il Che inedito» di Antonio Moscato propone con passione e rigore uno sguardo nuovo su una figura che è stata spesso oggetto di interpretazioni semplicistiche
Di Aldo Garzia
Con ogni probabilità Antonio Moscato ha scritto il suo ultimo libro, Il Che inedito (Edizioni Alegre, pp. 213, euro 12), sull’onda delle controversie più recenti relative a Ernesto Guevara (i diritti d’autore concessi dagli eredi in esclusiva per l’Italia alla berlusconiana Mondadori per una somma che supera il milione di dollari, la scarsa cura storiografica delle prime edizioni di questa editrice). Ma il libro di Moscato non è un pamphlet polemico o un volume semplicemente divulgativo. In questo testo ci sono soprattutto la mano e la passione di chi ha dedicato gli ultimi vent’anni allo studio della biografia e degli scritti di Guevara.
Una ricerca ancora aperta
Si possono condividere o meno le argomentazioni di Moscato e i suoi affondi analitici, ma non si può non riconoscere all’autore di lavorare su inequivocabili pezze d’appoggio. Che poi sono la rilettura degli scritti del Che, la loro periodizzazione storica accanto alla lettura incrociata delle monumentali biografie a lui dedicate (da Roberto Massari a Jon Lee Anderson, da Paco Ignacio Taibo II a Pierre Kalfon fino a Jorge G. Castañeda). E in questo lavoro filologico c’è pure una novità. Questa volta Moscato fa i conti con una serie di inediti di Guevara che stanno uscendo con il contagocce a Cuba e che lui ha avuto modo in parte di leggere in anteprima sotto il vincolo della non riproduzione integrale (in particolare, gli appunti critici scritti dal Che sul Manuale di economia politica dell’Accademia delle scienze dell’Unione Sovietica).
Eh sì, perché a quasi quarant’anni dalla sua morte in Bolivia nel 1967 resta tuttora aperta la ricerca su Guevara. Molti documenti sulla sua vita e sulla sua morte giacciono nei cassetti di Washington, Mosca, L’Avana. Non sono stati pubblicati tutti i suoi scritti. Sugli inediti vigila il Consiglio di Stato cubano che ne teme l’uso politico incontrollato (i giudizi molto critici rispetto a Mosca non renderebbero giustizia dei rapporti di sussidiarietà che l’Unione Sovietica ha avuto nei confronti dell’Avana fino alla caduta del muro di Berlino del 1989). L’idea di Moscato, invece, è che proprio l’implosione del «socialismo reale» avrebbe bisogno anche a Cuba di una piena riscoperta del pensiero politico di Guevara perché nelle sue analisi c’era la previsione di quanto poteva accadere sulla base di una analisi dell’organizzazione sociale ed economica dell’Urss.
Il distacco dall’ortodossia
Moscato sgombra il campo da alcune interpretazioni semplicistiche. Guevara non è stato soltanto un uomo d’azione, ma anche statista e autore di alcuni libri fondamentali sulla rivoluzione cubana. Un altro errore è considerare il pensiero politico del Che come un nucleo teorico a tutto tondo. La sua biografia politica è invece caratterizzata da scelte che avvengono sulla scorta di incontri, letture e maturazione politica indotti dall’esperienza rivoluzionaria a Cuba.
Il Che, all’inizio della sua avventura cubana, è un marxista ortodosso che guarda con favore alle esperienze del «socialismo reale». Poi matura progressivamente un distacco da quei modelli. Ci sono quindi nei suoi scritti intuizioni e spunti critici, non ancora una teoria alternativa al socialismo di Stato. La vita di Guevara, inoltre, si spezza mentre la sua riflessione è in evoluzione e non ha ancora preso la forma compiuta di un’alternativa al modello sovietico. Coloro che non erano d’accordo con lui, a Cuba e fuori di Cuba, lo hanno accusato di trotzkismo e maoismo solo perché cercava una via autonoma al socialismo rispetto al modello che aveva per capitale Mosca e leggeva Trotskij. Non si può dimenticare, infine, che Guevara muore in Bolivia a soli 39 anni e che la svolta della sua vita (la decisione di partecipare alla rivoluzione cubana) si annuncia quando ha già 28 anni. In soli dieci-undici anni, quindi, da quando parte con Fidel Castro alla volta di Cuba (1956) fino alla decisione di guidare la guerriglia in Bolivia (1966), il Che condensa una serie straordinaria di esperienze e riflessioni politiche.
Occorre però fare dei passi indietro. Il 7 ottobre 1959 per Guevara arriva il primo incarico di governo. È nominato responsabile del Dipartimento industrializzazione dell’Istituto nazionale per la riforma agraria (Inra). Il 25 novembre giunge la nomina a presidente della Banca nazionale di Cuba. Nel 1960 visita Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Cina e Corea del nord. Il 23 febbraio 1961 è nominato ministro dell’Industria. Jean-Paul Sartre, che assieme a Simone de Beauvoir incontra il presidente della Banca cubana nel 1960, annota in un articolo: «La guerra aveva formato quel Guevara e gli aveva imposto la propria intransigenza; la rivoluzione gli aveva istillato il senso dell’urgenza, della rapidità. Si credette di individuare, già in seno al Consiglio dei ministri, una destra, una sinistra e un centro e si considerò Guevara come qualcosa di temibile, un radicale furibondo. Offrendomi un eccellente caffè nel suo ufficio mi disse: prima di tutto sono un medico, poi un soldato e infine, come lei vede, anche un banchiere».
Quando Guevara assume l’incarico di ministro, ha pieni poteri su tutto l’apparato industriale. La sua scelta è quella di favorire gli investimenti nei settori della chimica e dell’elettronica. Dopo il 3 febbraio 1961, data in cui gli Stati Uniti decidono di interrompere le relazioni diplomatiche con Cuba, il Che sottoscrive accordi di scambio con l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti. Il Guevara guerrigliero si trasforma rapidamente in economista e ministro consapevole delle sue scelte. Per questo, promuove nel suo Ministero alcuni seminari sul Capitale di Marx e inizia a studiare i problemi di organizzazione del lavoro e di politica economica (alcuni inediti, come ricorda Moscato, riguardano i testi registrati di conversazioni-seminari che si svolgono nel Ministero dell’industria).
Guevara intuisce rapidamente che il meccanismo della centralizzazione non favorisce i piani produttivi di settore. Sferra un duro attacco ai primi segnali di burocratismo e cerca di modificare il sistema di pianificazione. I dati economici del 1963 mettono però sotto accusa proprio l’operato del Ministero dell’industria. Dal 1961 in poi gli investimenti nel settore industriale erano stati pari a 850 milioni di dollari l’anno senza un saldo positivo tra investimenti e produzione. In quel cruciale 1963 si apre lo scontro al vertice del governo. Vi contribuiscono due economisti europei, presenti a L’Avana come consulenti: Ernest Mandel e Charles Bettelheim. Il primo sostiene le posizioni di Guevara, il secondo è d’accordo con quanti chiedono la correzione di rotta. La sterzata arriva il 19 agosto: un documento del Consiglio dei ministri stabilisce che l’agricoltura e la canna da zucchero devono tornare il fulcro dell’economia dell’isola, l’industrializzazione dovrà realizzarsi nel corso dei dieci anni successivi. Il Ministero dell’industria, di conseguenza, perde il controllo delle attività produttive. Castro – è un’altra annotazione di Moscato su cui chi ha studiato quel periodo non può che essere d’accordo – si mantiene neutrale.
Dopo il dibattito al vertice del governo nel 1963, c’è un «secondo Guevara». Il Che precisa ulteriormente le sue posizioni, che poi lo porteranno in rotta di collisione con il modello sovietico: il socialismo non può limitarsi a cambiare le forme di distribuzione e di accumulazione economica; la politica deve intervenire laddove l’economia è solo calcolo freddo delle compatibilità. Nei seminari che si svolgono nel suo Ministero pronuncia frasi che servono a comprendere cosa pensa in quel periodo: «Lottiamo contro la miseria, ma al tempo stesso contro l’alienazione»; «Se il comunismo non si occupa dei fatti di coscienza, potrà essere un metodo di distribuzione ma non sarà mai una morale rivoluzionaria». Prende così corpo una teoria guevariana della transizione che sposta il baricentro dalla centralizzazione politica ed economica alla ripresa della mobilitazione sociale, mentre chiede tempo per avere dei risultati economici.
I rapporti con Castro
Il 14 marzo 1965 Guevara appare per l’ultima volta in pubblico a Cuba. Arriva all’aeroporto dell’Avana di ritorno da Algeri, dove il 24 febbraio – nel corso di un seminario economico internazionale – ha pronunciato un discorso sullo «scambio ineguale» che ha mandato su tutte le furie la delegazione sovietica («Come si può parlare di ‘reciproca utilità’, quando si vendono ai prezzi del mercato mondiale le materie prime che costano sudore e patimenti senza limiti ai paesi arretrati, e si comprano ai prezzi del mercato mondiale le macchine prodotte dalle grandi fabbriche automatizzate? Se stabiliremo questo tipo di relazione tra i due gruppi di nazioni, dobbiamo convenire che i paesi socialisti sono, in un certo modo, complici dello sfruttamento imperialista»).
Quali erano i rapporti tra Guevara e Castro in quel marzo 1965? Moscato si esprime a favore di una ipotesi: fino a quel momento non c’erano divisioni politiche sostanziali tra i due. In ogni caso, il Che che lascia Cuba è di sicuro un uomo politico che ha subito le prime sconfitte della sua vita. Guevara trascorre parte del 1965 in Congo. Partecipa con un gruppo di cubani alla rivoluzione (poi sconfitta) di quel paese. Nel suo diario africano annota la fragilità del movimento rivoluzionario congolese, le difficoltà di contatto con L’Avana, le rivalità tra Unione Sovietica e Cina. Il Che poi va in Tanzania e a Praga prima di far ritorno in modo clandestino a Cuba. Nella zona di Pinar del Rio addestra il gruppo di guerriglieri che lo accompagnerà in Bolivia (Moscato, sulla scorta di buona documentazione, sostiene che la spedizione boliviana aveva più l’obiettivo di formare una scuola guerrigliera che di avviare una vera e propria rivoluzione). Guevara è via via stretto nell’imbuto delle scelte a cui è costretto: non può andarsene dalla Bolivia, non può tornare a L’Avana dove la notizia della sua partenza è stata resa ormai pubblica. È ucciso, dopo essere stato catturato in combattimento presso la località di La Higuera, il 9 ottobre 1967.
Sul cammino del fuoco
La morte del Che chiude un’epoca della rivoluzione cubana e della storia dell’America Latina. Sfuma l’obiettivo di estendere la rivoluzione in altri paesi del continente e di sottrarsi al dilemma o Usa o Urss. La rivista d’ispirazione guevarista Pensamiento critico, diretta da Fernando Martínez Heredia, viene chiusa. Carlos Tablada pubblica solo nel 1987 un libro che è una rilettura degli ammonimenti economici di Guevara (Acerca del pensamiento económico del Che). Orlando Borrego Díaz, il principale collaboratore di Guevara a Cuba, dà alle stampe a L’Avana un libro sul Che solamente nel 2001 (Che. El camino del fuego): vi compaiono gran parte delle inedite note critiche dell’ex ministro dell’industria sul Manuale di economia politica dell’Accademia delle scienze di Mosca.
Moscato racconta tutta questa storia appassionante e dolorosa. In un capitolo gustoso, ci suggerisce perfino cosa leggere e cosa non leggere sul Che. Così facendo, ci ricorda che nella massa di libri e libriccini su Guevara c’è pure molta spazzatura. E in appendice del suo libro c’è infine un bel saggio che viene da Cuba a firma di Celia Hart. Per chi vuole ricercare ancora, Che inedito è molto utile.