Anna Vanzan da “I Quaderni Asiatici”
#GeziPark. Coordinate di una rivolta
di Anna Vanzan (da “I Quaderni asiatici”)
Il desiderio di libertà e democrazia che serpeggia da anni nel mondo arabo, dov’è esploso all’insegna di una serie di movimenti definiti “primavere arabe”, ha raggiunto nella primavera 2013 la Turchia, dove una serie di manifestazioni hanno messo in subbuglio prima Istanbul e, immediatamente dopo, quasi tutto il Paese. Se le
“primavere arabe” avevano stupito i più, avvezzi a catalogare il mondo arabo come un’unicum indistinto e immoto soggiogato da autocrati vuoi laico-militari vuoi religiosi, l’insurrezione degli abitanti di Istanbul, esplosa a seguito dell’annuncio del governo di voler abolire uno spazio verde della città, ed estesasi a più profonde richieste di spazi anche sociali e democratici, ha turbato gli osservatori di tutto il mondo. La Turchia di Erdoğan, infatti, era considerata un’oasi di benessere economico e di partecipazione democratica, al massimo turbata da qualche “intemperanza” religiosa da parte del Primo Ministro e del suo partito di chiara ispirazione islamica.
Ma a Gezi Park sono venuti al pettine i nodi tra il premier Erdoğan e quei cittadini scontenti del suo operato. Il mese di maggio 2013 s’era aperto all’insegna della contestazione, dopo che il governo aveva varato una legge che restringe l’uso degli alcolici in pubblico; in realtà, nella sostanza poco cambiava: se ne vietava la vendita a supermercati e negozi dalle 22 alle 6 e si proibiva alle compagnie che li vendono di sponsorizzare eventi pubblici, nonché di reclamizzarsi nei programmi radio e tv nazionali. Per il resto, nulla cambiava, ma questa serie di divieti posti su un prodotto altamente simbolico come l’alcol ha avuto un effetto esplosivo su tutti quelli convinti che Erdoğan e i suo partito (AKP) stiano trascinando la Turchia nel baratro dell’islamizzazione forzata. I precedenti a questo proposito non mancano, basti pensare alla polemica sull’uso del velo, che l’AKP per molti anni ha cercato di
sdoganare negli impieghi pubblici dov’era bandito da quasi un secolo (operazione riuscita, peraltro, nell’autunno 2013); o alle frasi pronunciate dal premier nel 2012 a proposito dell’aborto (legale in Turchia) e da lui definito “un assassinio”, scatenando le ire di moltissime turche; nonché a molti piccoli segni che marcano una maggiore invadenza della religione in un Paese che per decadi aveva fatto della laicità una bandiera.
Le violenze di Istanbul, però, sono da leggersi sotto un altro segno, anche se, probabilmente, esse sono state frutto anche dello scontento maturato per la tentata “islamizzazione” del Paese da parte dell’AKP: le manifestazioni, infatti, hanno mostrato, da un lato, una matrice ecologica, dall’altro, una prettamente politica, legata soprattutto alla figura di Erdoğan. E’ vero, infatti, che gli istambulini sono scesi in piazza per difendere l’annunciato abbattimento del parco Gezi, uno dei pochi spazi verdi nella zona centrale di Taksim, ma la rabbia è stata aumentata dal fatto che gli alberi devono cedere il posto a un centro commerciale, per un giro d’affari milionario di cui uno dei beneficiati sarebbe proprio il premier in carica e altri personaggi di spicco dell’AKP. E contro di questi si è scatenata la protesta, sedata con una prepotenza e una violenza poco consone a un governo, e al suo leader, che in questi anni si sono adoperati, in patria e all’estero, per apparire moderni e moderati, quasi una sorta di calmiere agli estremismi militari del passato e a quelli religiosi dei tempi recenti.
La brutale reazione del governo contro i manifestanti ha mostrato invece il lato deleterio della modernizzazione, ovvero, ancora una volta, l’uso della tecnologia per colpire i dissenzienti, le cui comunicazioni via cellulare sono state intercettate per isolarli e colpirli, mentre internet subiva rallentamenti.
Il presente libro si autodefinisce “una cassetta degli attrezzi per ricostruire quanto successo per le strade di Istanbul e della Turchia” (dalla bandella), ma, in realtà, è assai di più. I sei autori, tutti esperti di molteplici aspetti della società turca contemporanea, ci offrono altrettanti brevi ma densi saggi utili a capire quanto accaduto nei mesi scorsi in quello che sembrava il paese più democratico tra quelli connotati dalla presenza di una stragrande maggiorana di cittadini di fede musulmana, e a tentare di ipotizzare quanto si prospetta nel suo
immediato futuro.
Il saggio di Fazila Matt (Gezi Park: lavori in corso) affianca alla cronaca dei principali avvenimenti della rivolta consumatasi attorno a Gezi Park e al contestato progetto statale di abbatterlo per farne un polo commerciale, una riflessione sul ruolo giocato nella protesta dai media e dalla mancata libertà d’espressione degli stessi. L’articolo di Lea Nocera (Taksim tra progetti e visioni, cosa si cela dietro la minaccia del cemento) colloca in prospettiva storica il progetto di urbanizzazione di Istanbul, diviso tra strumentalizzazioni di potere e le aspirazioni della nuova società turca. Fabio Salomoni (Gli attori di Gezi Park: una tassonomia) offre una panoramica sui diversi protagonisti della protesta, sfatando il mito della monoliticità “laica” dei manifestanti. Moira Bernardoni (I graffiti della resistenza di Gezi: riappropriazione, comunicazione e ironia) propone un’analisi della variante turca del fenomeno dei graffiti e dell’arte di strada quale mezzo di espressione rivoluzionaria popolare, che va ad aggiungersi alle numerose testimonianze-analisi degli
analoghi fenomeni presenti nelle “primavere arabe”. La stessa Bernardoni in un successivo capitolo (Come rivendicare beni e lotte comuni: l’esempio dei Müştereklerimiz) ci informa sul ruolo svolto nella protesta dal collettivo politico istambulino Müştereklerimiz, sottolineando l’importanza che il conflitto di classe riveste nello
scontento della società turca attuale. Nell’ultimo capitolo (Le rivolte della rivolta globale), Fabio Ruggero e Piero Maestri contestualizzano la rivolta turca nel più ampio panorama di quelle che stanno attraversando il mondo arabo negli ultimi tre anni, pur sottolineando le differenze tra i vari movimenti.