Bendetto Vecchi su il manifesto
Appunti di lettura sull’Onda anomala
di Benedetto Vecchi (da il manifesto del 28/01/2009)
Saggi scritti a caldo, quando l’Onda anomala ha raggiunto il suo apice con la partecipazione allo sciopero generale del 12 dicembre. Materiali analitici, ma anche testi che ripercorrono le tappe di uno movimento che ha colto tutti di sorpresa. Una marea montante iniziata prima con le mobilitazioni dei genitori e degli insegnanti della scuola primaria e che poi era dilagata con le occupazioni,le lezioni in strada, i corsi autogestiti nell’Università. L’oggetto della critica erano due decreti voluti dal governo di Silvio Berlusconi. E se per i bambini, il ministro Maria Stella Gelmini ha voluto imporre il voto in condotta, il grembiule e il maestro unico, per gli universitari Giulio Tremonti ha deciso il taglio dei fondi destinati agli atenei, invitandoli a trasformarsi in Fondazioni privati. Il movimento ha invaso le città, con lezioni in piazza e cortei improvvisati che spesso hanno paralizzato le città. Per due mesi l’«Onda anomala» ha imposto la sua presenza, mentre la crisi economica alimentava la parallela crisi del neoliberismo. Gli studenti sono riusciti a sintetizzare in uno slogan – «Noi la crisi non la paghiamo» – un punto di vista agli antipodi di quanto ha fatto finora il governo di centro-destra, con i suoi piani di salvataggio di banche sull’orlo del collasso e, ora, con una controriforma della contrattazione collettiva. Il movimento si è poi disperso così repentinamente come era apparso. E il coro di chi parla di fuoco di paglia, di minoranze rissose, chiassose, nullafacenti e crimanali ha ripreso forza. Ma in quei due mesi la presa di parola di una generazione ha messo in campo una lettura della realtà, del ruolo dell’Università e della condizione studentesca difficile cancellare. Ed è proprio intorno a questa sedimentazione di sapere critico, propedeutica forse a un ritorno sulla scena dell’Onda anomala, che gli autori di questo volume collettivo cercano di individuarne i punti forti, ma anche i limiti. Quello che emerge è la sottolineatura che l’Onda è un movimento eterogeneo, ma che parte da due elementi condivisi. Il primo sta nella crisi della democrazia rappresentativa, simboleggiato dalla implosione della sinistra. Il secondo, risiede nella convinzione di uno stretto legame tra università e mondo produttivo. Due punti di partenza che danno vita a una lettura diversificata e a tratti confliggenti tra le diverse «anime del movimento». L’aspetto su cui i testi del volume si focalizzano è però il secondo (Cinzia Arruzza, Giulio Calella, Salvatore Cannavò, Daniele D’Ambra, Antonio Montefusco, Giorgio Sestili, Massimiliano Tomba, mentre Giovanna Vertova offre un «diagramma di flusso» dell’operato del governo di dismissione dell’università pubblica). Per tutti, l’Università italiana è sì subordinata alle leggi dell’economia, ma solo come un dispositivo che viene usato dalle imprese per attingere innovazione tecnologica. Inoltre, gli studenti sono «precari in formazione», perché l’università addestra alla precarietà. Da qui la necessità di una convergenza degli studenti con i ricercatori precari e con altre figure del lavoro dipendente. La polemica a distanza è con quelle posizioni che vedono la formazione come attività direttamente produttiva, mentre gli studenti sono visti come forza-lavoro produttiva. Divergenze non da poco, ma quando si passa al primo punto – la crisi della democrazia rappresentativa le differenze si accentuano. Gli autori propongono, infatti, il modello democrazia di base – delegati di base a rotazione e revocabili in ogni momento – a fronte di altre proposte, definite assembleari. Al di là del fatto che chi scrive vede l’università come attività direttamente produttiva e dunque anche come dispositivo di controllo sociale, l’elemento delle forme politiche del movimento è senza dubbio il meno indagato, alla luce anche di quella irrapresentabilità del movimento assunta dagli stessi autori come una «ricchezza del movimento». E qui vale il vecchio adagio di Louis Althusser quando scriveva su Machiavelli: la politica è pensare l’inimmaginabile. E politica, per l’Onda anomala, è pensare innovative forme organizzative all’altezza di quella irrapresentabilità. Ma su questo, la discussione è aperta.