«Capitalismo o ambiente» – Alessandro Stoppoloni da “Gli Asini”
da Gli Asini
Difficile negare che il riscaldamento climatico, grazie anche alle iniziative di gruppi come Fridays for Future o Extinction Rebellion, sia ormai da mesi al centro dell’attenzione pubblica. Non mancano nemmeno i libri che si occupano dell’argomento. Fra questi si distingue il contributo dell’ingegnere agrario belga Daniel Tanuro Troppo tardi per essere pessimisti, pubblicato nel 2020 in Francia dalle edizioni Textuel e in Italia dalla casa editrice Alegre con la traduzione di Riccardo Antoniucci. Nel 2011 Tanuro aveva pubblicato un altro libro, L’impossibile capitalismo verde (La Découverte in Francia e sempre Alegre in Italia) in cui si negava che un capitalismo riformato in chiave ecologista potesse evitare il peggioramento della crisi climatica e ambientale. In quelle pagine Tanuro criticava l’idea di considerare tutta l’umanità responsabile allo stesso livello delle emissioni che causano il cambiamento climatico. Si metteva in chiaro che ci sono delle zone del mondo che contribuiscono molto più di altre al peggioramento delle condizioni climatiche e ambientali globali, evidenziando come una soluzione alla crisi potesse arrivare solo da una profonda messa in discussione degli equilibri su cui si fonda il sistema economico e sociale. La proposta di Tanuro si basa su alcune pagine di Marx che gli servono per iniziare a delineare un progetto ecosocialista, senza però dimenticare quanto poco venisse rispettato l’ambiente proprio nei paesi che nel Novecento hanno fatto riferimento al socialismo e all’Unione Sovietica. Il nuovo libro riprende tutti questi temi e li aggiorna alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni.
Anzitutto, l’autore si sofferma sui diversi scenari elaborati da diversi organismi internazionali, descrivendo una situazione critica sia sotto il profilo climatico sia sotto quello della diffusione di sostanze inquinanti. Nel secondo capitolo si sposta l’attenzione sui rapporti del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (International Panel on Climate Change, Ipcc) e sull’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media della Terra entro 1,5 °C rispetto all’era precedente l’industrializzazione. Qui l’autore denuncia l’iniquità del sistema di compensazione delle emissioni di anidride carbonica in vigore, facendo notare che dal punto di vista sociale le emissioni imputabili ai paesi ricchi non vanno messe sullo stesso piano di quelle dei paesi più poveri.
Discutendo i quattro scenari elaborati dal gruppo intergovernativo Tanuro non nasconde il suo scetticismo verso il ricorso a soluzioni tecnologiche come la cattura e l’immagazzinamento di anidride carbonica, utili solo nella fase di transizione verso fonti energetiche non di origine fossile, e rifiuta la proposta, presente in tre dei quattro scenari, di superare temporaneamente il limite di 1,5°C. L’ammontare delle emissioni da catturare sarebbe tale da generare un mercato enorme e appetitoso per pochi gruppi industriali mentre il resto del sistema si sentirebbe legittimato a proseguire come ha sempre fatto. Secondo l’autore il poco margine di tempo e di emissioni ancora disponibile prima di generare conseguenze catastrofiche andrebbe usato per ridurre le disuguaglianze economiche e sociali. L’innovazione è necessaria ma non sufficiente, occorre rinunciare a quello che viene definito il “rilancio” dell’economia. Considerando quanto in questi ultime settimane abbiamo sentito parlare di “ripartenza”, “ripresa”, e “rimbalzo del Pil” l’espressione non può che essere d’effetto. Tanuro ripete quello che era già stato affermato nel libro precedente: non è possibile salvare allo stesso tempo l’equilibrio ambientale e il capitalismo.
La questione dell’insostenibilità di un certo sistema di sviluppo non è certo nuova e nel terzo capitolo Tanuro passa in rassegna alcune precedenti esperienze, come quella dello studio commissionato dai membri del Club di Roma, fra cui il dirigente della Fiat Aurelio Peccei, ai coniugi Dennis e Donella Meadows e ad altri scienziati. The Limits to Growth (in italiano Rapporto sui limiti dello sviluppo) venne pubblicato nel 1972 ed esponeva una serie di modelli che tenevano in conto alcune variabili come l’inquinamento, la popolazione, la crescita della produzione industriale, le risorse disponibili e il cibo disponibile pro capite. La conclusione era che il sistema presentava dei limiti alla crescita tali da portare a un collasso generale nei primi decenni del Duemila se non si fosse agito per tempo. Tanuro critica il fatto che quel modello non tenesse conto delle questioni sociali: a suo avviso il problema non è l’aumento della popolazione mondiale, ma una diseguale distribuzione delle ricchezze e uno sfruttamento sfrenato delle risorse. L’autore, riprendendo temi affrontati anche da Nora McKeon nel suo libro Food governance (Jaca book, 2019), mette in dubbio che l’aumento della popolazione umana causi per forza una diminuzione della biodiversità, sostenendo la necessità di difendere le forme di produzione agricola e di pesca tradizionale come strumento di prevenzione del degrado ambientale. Seguendo questo spunto Tanuro evidenzia come qualunque modello abbia dietro di sé un’ideologia. È il caso dell’unico scenario elaborato dall’Ipcc che non prevede il superamento del limite di 1, 5 °C: il gruppo intergovernativo suggerisce di ridurre il consumo energetico ma propone soluzioni socialmente inique e rimane in una prospettiva capitalistica inaccettabile per l’autore.
Tanuro sostiene che il capitalismo si troverebbe ormai da decenni di fronte a una crisi profonda. Secondo l’autore esisterebbe un limite che il capitalismo non può superare e oltre il quale l’accumulazione del capitale dovrà essere interrotta per mancanza di risorse. Non per tutti però questa conclusione è così scontata e Tanuro polemizza tanto con chi sostiene invece che sia possibile riformare il sistema in modo da tenere insieme le esigenze dell’ambiente, quelle della società e quelle dell’economia basata sul mercato e sull’accumulazione quanto con chi è ormai rassegnato al collasso (se ne è parlato nel numero 62 de “gli asini”, aprile 2019). Pur non negando l’importanza dei cambiamenti nel comportamento dei singoli, Tanuro sostiene che questi non bastino a modificare il sistema: occorre portare avanti delle lotte collettive altrimenti si rimarrà sempre dipendenti dalla crescita economica, frutto dello sfruttamento del lavoro, per coprire i bisogni più immediati. La proposta di Tanuro è di riappropriarsi della critica marxista, avendo però ben chiaro che occorre un approccio non dogmatico a quello che è ancora un cantiere.
L’ultimo capitolo del libro è dedicato alle proposte per evitare la crisi. In uno dei passaggi più convincenti dell’opera Tanuro mette in chiaro che non ci sono speranze di cambiare in meglio le relazioni con gli altri esseri viventi se non si riesce prima a intervenire sui rapporti fra gli esseri umani, in particolare riconoscendo l’importanza del lavoro di cura e della riproduzione sociale, spesso a carico delle donne. Sostiene poi la necessità di attivare delle politiche che dovranno essere coordinate da uno Stato democratico e in grado di pianificare ma anche poco legato alla burocrazia, anche se qui i contorni della proposta risultano un po’ sfumati. Si prospetta la socializzazione di interi settori economici come quello energetico e quello della produzione agricola. Ritorna in queste pagine l’invito che l’autore ha già rivolto lungo tutto il libro: produrre di meno, trasportare meno e condividere di più, ma anche lavorare di meno (a salario invariato).
Facile a dirsi, difficile a farsi, ma Tanuro individua già nelle donne, nelle giovani generazioni, nei popoli indigeni e nei movimenti contadini gli attori in grado di generare il cambiamento.