Collettivo Nicoletta Bourbaki: «Un metodo contro le mistificazioni della storia» – Iuri Moscardi su “Il Giornale di Brescia”
Pochi anni dopo la Liberazione, l’Italia fu spinta a cambiare idea sui partigiani comunisti. La Guerra Fredda e la restaurazione di figure compromesse col regime favorirono talvolta la strumentalizzazione di casi, privati del loro contesto storico, con cui gli ex di Salò tentavano di mostrare che i partigiani erano stati anch’essi efferati. Uno di questi riguarda Giuseppina Ghersi, 14enne savonese «giustiziata» il primo maggio 1945 perché spia e fiancheggiatrice delle Brigate Nere.
I dettagli sanguinosi sulla sua morte sono smontati ne «La morte, la fanciulla e l’orco rosso» (Alegre, 296 pagine, 18 euro) dal collettivo Nicoletta Bourbaki. Il libro sarà presento il 2 dicembre, alle 20.45, a Pisogne, nella nuova sala convegni della Biblioteca comunale, in via San Marco, con il ricercatore Federico Carlo Simonelli. Abbiamo intervistato Franco Berteni e Francesco Pisano, membri del collettivo.
Da cosa deriva il nome Nicoletta Bourbaki? Siete tutti storici e storiche?
Nel 2002 su Giap, il sito di Wu Ming, si sviluppò una discussione su un post dedicato al mausoleo di Rodolfo Graziani a Affile. Da lì l’idea di un gruppo di lavoro sulla mistificazione della storia, in particolare fascismo e Resistenza. Dopo inchieste sulle voci Wikipedia relative a quel periodo, ci siamo occupati del «confine orientale» dell’Alto Adriatico e dei spesso presunti crimini partigiani. Il nome è un détournement di Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici francesi. Il numero dei membri è variato fino a cinquanta: non solo storici e storiche, ma studiosi di formazioni diversa.
Come avete scoperto il caso Ghersi e perché un libro invece che un post su Giap?
Abbiamo incontrato il caso Ghersi nell’autunno 2017, quando una polemica rimbalzò dal savonese a livello nazionale per un articolo del Corriere della Sera. Molti elementi proposti dal Corriere e altri media mainstream non tornavano: la narrazione era ripresa senza verifica da ambienti neofascisti o anti-antifascisti. Il gruppo si è messo al lavoro per smontarlo e decostruirlo attraverso la sua ricostruzione con ricerche d’archivio. Un lavoro diverso dal solito, con tempi più lunghi, che si prestava a uscire dal web.
Del caso Ghersi analizzate la storia (i fatti) e la storia della storia (le narrazioni): che significa?
Si tratta di una proposta di metodo basata sulla convinzione che la sola ricostruzione storica di una vicenda non sia efficace nel disinnescare la diffusione di narrazioni false o falsificate con finalità denigratorie verso la lotta di liberazione dal nazifascismo. Occorre anche ricostruire la genealogia e la diffusione della sua narrazione nell’immaginario pubblico.
Pensate che casi come questo siano favoriti dall’idea che bastino un pc e una vicenda personale per considerarsi storici?
Scrivere il passato in prima persona, per usare il sottotitolo di un recente libro di Enzo Traverso, è un tema presente e merita attenzione. Il punto, secondo noi, è non lasciare solo a storici e storiche di professione il compito di occuparsi della storia, ma la necessità che chiunque si occupi di storia non dimentichi il metodo storico critico, come delineato tra gli altri dallo storico e partigiano francese Marc Bloch, valutando criticamente e mettendo le fonti a confronto per poi presentarle alla discussione pubblica.
A quali istituzioni spetta contrastare fenomeni anti-Resistenza che fanno presa sull’immaginario comune?
Ancora una volta, la risposta è tenere sempre presente il metodo critico: stare nel campo di conflitto che è la storia è un impegno di ognuno e ognuna di noi, seppure in misure diverse.
Il libro è anche un manuale di metodo: qual è la lezione più importante?
Nel 2018 abbiamo pubblicato «Questo chi lo dice? E perché?», una guida didattica disponibile gratis su Giap. Avere sempre a mente queste due domande, cercare di mettere a fuoco le risposte quando siamo davanti a una narrazione di fatti storici è già un primo e utile antidoto per non cadere nella trappola delle narrazioni false o manipolate. Inoltre, prendersi il tempo necessario per approfondire prima di condividere una data narrazione (sui social in particolare) può già fare la differenza.