Cristina Corradi su Liberazione
Esce in Italia lo studio di Daniel Bensaid sul filosofo tedesco. Una lettura che mette in risalto le possibilità rimaste
finora inespresse nel testo marxiano con molti rimandi a Benjamin e Gramsci. Ritroviamo un autore incompleto e contraddittorio
Marx, troppo in anticipo sul suo tempo. Ma oggi è attuale
di Cristina Corradi (Da Liberazione del 24/01/2008)
Marx l’intempestivo è il titolo del libro di Daniel Bensaïd pubblicato in Francia nel 1995 e tradotto ora in lingua italiana da Cinzia Arruzza per Edizioni Alegre (pp. 416, euro 25,00). Nella prefazione Massimiliano Tomba pone giustamente l’accento sul carattere non filologico e non antimarxista della lettura qui proposta, che non emerge dallo studio asettico di uno specialista, bensì dall’interpretazione appassionata, e a tratti visionaria, di un dirigente della Lega comunista rivoluzionaria. In compagnia di autori eterodossi come Benjamin e Gramsci, l’autore aggredisce, infatti, i luoghi comuni dell’antimarxismo contemporaneo e sottolinea l’attualità della marxiana critica dell’economia politica nell’epoca della globalizzazione dei rapporti capitalistici. Il Marx di Bensaïd è un Marx genialmente incompiuto e fecondamente contraddittorio, il cui pensiero va colto all’incrocio di tre critiche: della ragione storica, dell’empirismo sociologico e del modello positivista di scienza. E’ un Marx intempestivo perché sovvertitore dell’idea di scienza della sua epoca, un Marx che,
attardandosi nel modello tedesco di scienza, anticipa temi e motivi della crisi novecentesca dei fondamenti; è un Marx intempestivo come le rivoluzioni, che non sono mai prevedibili né puntuali. E’ un Marx da riscoprire attraverso il filtro di autori eterodossi come un Marx attuale, la cui critica matura dell’economia politica è all’altezza della mondializzazione capitalistica.
Il libro è diviso in tre parti: la prima decostruisce l’immagine di Marx come filosofo della storia, sostenitore di una concezione della temporalità storica a disegno, orientata verso una meta predeterminata e scandita da tappe necessarie. E’ un’immagine costruita dalle correnti ortodosse della Seconda e della Terza Internazionale, che, tramite la critica popperiana allo storicismo, ha plasmato il senso comune dell’antimarxismo contemporaneo.
La seconda parte argomenta l’irriducibilità della critica dell’economia politica ad una sociologia empirica delle classi o ad una scienza positiva dell’economia. Bensaïd argomenta che la liquidazione della teoria del valore comporta la perdita del concetto indispensabile di lavoro astratto. La traduzione del concetto di sfruttamento nei linguaggi della teoria della giustizia, della scelta razionale e del marginalismo è incompatibile con una rigorosa teoria del conflitto sociale.
La terza parte si sofferma sulla scienza marxiana, che non è inquadrabile nei canoni della scienza normale, non è riconducibile alla dottrina economica modellata sulla scienza fisica. Lungi dall’applicare la razionalità galileiana nell’ambito dello studio della società, Marx anticipa per molti versi i tratti che le scienze assumono dopo la crisi dei fondamenti.
Una lettura non filologica e non antimarxista: le possibilità inesplorate e inutilizzate del passato, che è compito del materialista storico dischiudere, vanno cercate anche nella tradizione del marxismo (testo non separabile dal suo uso politico nella lotta di classe).
Non scienza positiva dell’economia, ma “teoria critica della lotta sociale e della trasformazione”, la comprensione deve aprire la possibilità del mutamento, non fotografare il reale. La questione è la verità, non l’oggettività (cioè neutralità dell’osservazione che è falsa in una totalità soggetta a interessi antagonisti, ove il soggetto prende parte a ciò che descrive), e la verità di una situazione consiste nel dischiudere praticamente le possibilità di liberazione che racchiude. La teoria marxiana è irriducibile ad una sociologia empirica: non una teoria delle classi ma una teoria che si fonde con pratiche di classe. Le classi non si danno come agglomerati fotografabili, ma sono pratiche politiche il cui comune è sospeso sul bordo di una disappartenenza (alla propria condizione salariata, alla nazione, agli interessi di impresa). Gli individui formano una classe quando debbono condurre una lotta comune contro un’altra.
Il Capitale sovverte l’idea di scienza: storia discontinua e piena di fratture, non contemporaneità tra sfere economica, giuridica ed estetica. Rompere con storia lineare ed omogenea, riattivando correnti del marxismo eterodosso: togliere le incrostazioni del marxismo stalinista (concezione teleologica della storia come successione di tappe obbligate), e decostruire la storia universale. La politica è il punto di incontro di tempi discordi, perché turba la linearità storica.
Alcuni choc legati a eventi singolari costringono Marx a rivedere l’idea di progresso: la sconfitta del ’48, il ’70. Piano categoriale, storico e politico sono ricombinati insieme.
Questa rilettura è propiziata da uno studio di Benjamin e incontra i Postcolonial studies. «Articolando insieme temporalità eterogenee, Marx inaugura una rappresentazione non lineare dello sviluppo storico: i concetti di sviluppo ineguale e combinato e di non contemporaneità si inscrivono nel filo rosso delle sue intuizioni». Le leggi hanno la funzione di tracciare una tendenza, che opera nella contingenza, sotto i colpi delle controtendenze, che danno forma alla tendenza.
Il libro ci fornisce una chiave per rileggere il Capitale nella prospettiva di tre temporalità: il tempo rubato del primo libro, quello delle metamorfosi e della circolazione del capitale nel secondo libro, il tempo vivo dei conflitti e delle crisi del terzo. E’ poco utile attardarsi sulle influenze hegeliane. «Strappare Marx dalle sue radici hegeliane per collocarlo nella normalità delle scienze moderne» è un malinteso. Il quadro delle influenze è complicato con l’inserimento di Leibniz e Spinoza. Il problema del cominciamento non è quello hegeliano, perché non muove dall’astratto, ma dalla concretezza della merce. La logica non può sopportare la traccia del non identico, il cui primato è il senso ultimo del materialismo. Le rivoluzioni non obbediscono alla regolamentazione della storia universale, ma nascono dalla sofferenza e dall’umiliazione. Il capitale non è scritto per superamenti e conservazioni ma per tensioni e attriti interni. Per metterli in movimento serve la politica.