Di oppressione e decoro – Debora Benincasa da “Lo scarto”
da Lo scarto
Primo commento sul libro di Wolf Bukowski La buona educazione degli oppressi: è un saggio scritto benerrimo che scorre con la stessa passione di un romanzo.
Nell’introduzione si parte da Firenze, la città dove sono cresciuta: 2018, omicidio di Idy Diene.
Nemmeno un mese dopo che Luca Traini, a Macerata, ha sparato sui neri con l’ideologia corrotta da giustiziere della notte, un uomo – Roberto Pirrone, pensionato, esce di casa, si dirige verso ponte Vespucci e spara.
Al primo che passava, disse dopo, e il primo che passava, ovviamente, era nero.
La comunità senegalese, di cui Idy Diene faceva parte, si riunisce la sera, le notizie dicono che l’atto non è stato di matrice razzista, i compagni sono addolorati, alcuni sono giustamente furiosi.
Un gruppo camminerà per il centro e rovescerà delle fioriere.
E qui arriva lo sguardo di Bukowski, che riprende il tweet che il buon sindaco Nardella pubblicherà poco dopo:
L’omicidio di Idy Dienec (sic) per mano di uno squilibrato, ora agli arresti, ha colpito tutta Firenze. Comprendiamo il dolore della comunità senegalese ma la protesta violenta di questa sera in centro è inaccettabile. I violenti di qualsiasi provenienza saranno affidati alla giustizia.
Il tweet è di per sé scandaloso, scandaloso l’utilizzo della parola violenza, che sembra raggruppare in un unico crimine l’assassino di Idy Diene e la rabbia suoi compagni, scandaloso il valore dato a qualche fioriera (non si saprà mai quante ne avessero poi realmente rovesciate, dato che i giornali ne manderanno scatti multipli, con riprese da varie angolature), scandaloso, soprattutto, il fatto che la notizia delle fioriere rovesciate girerà quanto, se non di più, dell’omicidio dell’uomo.
Tutto questo è detto e portato avanti in nome del decoro.
Wolf Bukowski ci accompagna in una storia della politica neoliberale che ci vuole consumatori e consumati e che allontana tutto ciò che non è utile a questa funzione. Una politica portata avanti dalle destre come dalle sinistre, in cui si punta il dito contro il povero, il migrante, la prostituta, il malato di mente, il barbone, lo studente che si siede in piazza.
E’ un viaggio in Italia e in America a smascherare i meccanismi delle riqualificazioni e della tolleranza zero.
Si parte da un’America con a capo Ronald Reagan, 1982, e la pubblicazione di un articolo in cui viene esposta La teoria delle finestre rotte.
L’articolo si apre spiegando come sia fondamentale la percezione della sicurezza più che la sua effettiva esistenza. Non serve sprecare fondi per perseguitare i grandi crimini, meglio puntare il dito contro quelli piccoli, anche inventati apposta, contro il disordine o il degrado (parola che in politica piace moltissimo).
Ai due economisti serviva giusto un piccolo anello per congiungere il disordine alla possibilità dell’aumento del crimine, non avendo a disposizione alcun dato empirico, si sono aggrappati a una favoletta, che farà estremo successo e che verrà appunto chiamata teoria delle finestre rotte.
c’era una volta un quartiere per bene dove venne abbandonata una casa. Col passare dei giorni e dei mesi, la casa non viene rivenduta, cresce l’erba sempre più incolta. Un giorno qualcuno rompe una delle sue finestre, i vetri si infrangono e nessuno li ripara. Ed è qui che il bel quartiere inizia a cambiare, i bambini non riparano più gli oggetti che rompono, nessuno segue le regole, nessuno si occupa di gettare l’immondizia. Il vicinato smette di curarsi della pulizia del quartiere e lentamente tutto diventa sudicio e degradato.
E’ in questo tipo di ambiente che potrebbero proliferare i crimini e i criminali, perché il quartiere è lasciato abbandonato e nessuno si cura più di ciò che ha intorno.
Neppure i due economisti riescono a scrivere che in un quartiere disordinato ci saranno sicuramente più criminali. Dicono potrebbe, ma tanto basta. L’importante continua ad essere che i cittadini sentano il bisogno di maggior sicurezza, che vedano dei nemici nelle persone più povere, che le trovino addirittura colpevoli della loro povertà.
La tolleranza zero si fa vanto di accanirsi contro i piccoli crimini:
Non avremmo ignorato le piccole cose. L’evasione del biglietto e il graffitismo non sarebbero più stati considerati troppo insignificanti per meritare la nostra attenzione. In effetti ci saremmo concentrati su di essi con tanta energia quanto sui crimini gravi come i furti se non di più.
Commissario William Bratton, 1990, New York
Troviamo traccia di queste parole nella ferocia del nostro sistema, nella riqualificazione del mercato delle erbe a Bologna, nella campagna #EnjoyRespectFlorence, nelle panchine con i braccioli per non permettere che le persone si distendano, nello smantellamento delle stazioni come punto di transito per viaggiare e aspettare il prossimo treno in favore di un ennesimo spazio commerciale.
Finito il libro
la visione di insieme è lucida e profonda
le parole utilizzate dalle istituzioni smascherate
e la rabbia alta e feroce.
Le pagine che seguono sono il tentativo di perlustrare l’abisso in cui, nel nome del decoro e di una versione pervertita della sicurezza, ci sono fioriere che contano come, e forse di più della vita umana.
Wolf Bukowski