Dialogo tra Don Pasta e Wolf Bukowski a partire da “La danza delle mozzarelle” di Don Pasta (da Repubblica Bari)
Si parla tanto di cucina, di cibo, ma è sempre più raro avere uno sguardo critico sul tema. Il bolognese Wolf Bukowski, suo vero nome, con il pamphlet La danza delle mozzarelle, ha scoperchiato la pentola del mondo del food, analizzando con rigore le ambiguità di Expo, Gambero Rosso, Slow Food e Eataly.
E’ un libro intelligente e liberatorio in un ambiente dove prevale il pensiero unico, figlio di un capitalismo relazionale in cui nessuno critica nessuno e tutti fanno affari con tutti. Il tutto con una gran dose di ironia: «Devo confessare la mia totale ignoranza per quel che riguarda il cibo. Sono uno di quelli che Brillat Savarin metterebbe nel girone dell’inferno che punisce chi non si concentra quando mangia. Nonostante la mia insipienza, a Bologna ho incontrato i contadini del circuito di Genuino Clandestino e mi ha interessato la questione. Occupandomi da sempre di grandi opere, l’Expo mi permetteva di investigare il nesso tra l’usurpazione del territorio e il nuovo mercato del cibo».
Nella querelle sull’Expo tra Mc Donald’s e Slow Food non sono stati tanti a difendere questi ultimi, con il paradosso che anche Bottura gli si è scagliato contro.
«In questi trent’anni di grande successo di Slow Food, l’economia agroindustriale è stata molto fast, poco pulita e poco giusta. L’idea di contaminare i soggetti educandoli al buono, pulito e giusto ha creato il paradosso che i cattivi si sono impossessati di quel linguaggio, lo hanno fagocitato e fatto proprio, creando un nuovo strumento di commercio. Prendendo proprio l’esempio di Expo, il progetto iniziale, in cui Slow Food aveva una funzione chiave, si è lentamente perso. Slow Food ha avuto paura di uscire da Expo con la velleitaria idea di poterlo condizionare, cosa che nei fatti non si è verificata».
Puoi spiegare quale è il senso di una critica a un evento che in pochi hanno voglia di veder criticato?
«Partiamo intanto dal presupposto che il tema è “Nutrire il pianeta” e i maggiori sponsor sono tra i principali attori delle deformazioni del mercato agroindustriale mondiale. Quando vai in Expo vedi più schermi digitali che cibo e verdure. Significa che il focus si è spostato dal mondo della produzione agricola alla distribuzione e commercializzazione dei prodotti».
In Salento tutte le nonne, di qualsiasi classe sociale, sanno conoscere la qualità di un prodotto. Ma l’esasperazione del concetto di qualità nel mercato attuale non mi pare corrisponda a un sapere accessibile a chiunque.
«Vedo un parallelo tra la “narrazione della qualità” e la creazione di una sorta di paese feticcio pensato per il turismo, dove i prodotti devono parlare in termini di marketing e non generare ricchezza localmente. Negli scambi internazionali si ha così bisogno di un linguaggio. Daniela Ranieri in Aristodem spiega bene il fenomeno italiano dell’esotismo di ritorno rivolto contro noi stessi. Non siamo più ciò che siamo, ma l’immagine che vogliamo dare all’estero ».
Faccio l’avvocato del diavolo. Al dilà di come si ditruibuiscano i proventi tra piccoli produttori e Eataly, quest’ultima un’economia la crea.
«Il problema è che i rapporti di forza sono cambiati, completamente squilibrati verso la distribuzione, quindi se anche questo modello creasse un valore aggiunto, andrebbe soprattutto alla distribuzione e non ai contadini, mentre l’impoverimento degli agricoltori e dei lavoratori è sotto gli occhi di tutti. Poi fanno la morale sul fatto che la gente comune spende più in tecnologia e meno per mangiar bene».
Mettiamola così, mi devi dare una ricetta militante
«Rischio di essere retorico, ma visto che non sono un esperto di cucina, parlo di una cucina simbolica e penso ai ragazzi che fanno le mense popolari autogestite, al cibo dei contadini di prossimità a prezzi ragionevoli, alla rete Eat the Rich che ha portato il cibo ai migranti di Ventimiglia, portando un sollievo militante e non caritativo».
Quando in Puglia arrivarono gli albanesi li sfamammo volentieri di focacce e peperonate. A loro, quindi, una bella focaccia di cicorie e cipolle rigenerante.