Eugenio Sibona da “rivistaunaspecie.com”
Angelo Ferracuti, collaboratore di varie testate tra cui il manifesto, ha all’attivo da più di 20 anni una produzione letteraria composta da diversi romanzi (tra i quali Attenti al Cane e Nafta). Molto prolifico nell’esplorare il mondo di migranti e operai, ha denunciato le loro condizioni in diversi reportage. In quest’ultimo, I tempi che corrono, dipinge una realtà in cui globalizzazione e “turbocapitalismo” hanno generato un muro di precarietà, difficile da abbattere: quello del lavoro. All’attuale problema della disoccupazione giovanile se ne aggiunge un altro che ci portiamo avanti da anni: quello di chi un’occupazione già ce l’ha, ma è costretto a subire a testa bassa i soprusi di imprenditori a cui interessa solo abbattere il costo di produzione, anche a scapito di salute e sicurezza.
Attraverso agili capitoli si affrontano diverse storie, come diversi sono i problemi che s’incontrano. Dal semplice lavoro nero nei campi, alle più complesse vicende della multinazionale, fino ai dipendenti ammalati per colpa dell’amianto, che si scontrano nel fitto intreccio che vede colluse azienda e sanità pubblica. Sembra di accompagnare l’autore, mentre cammina per strada e descrive le persone che incontra. A volte si sofferma di più sulle situazioni, scavando in profondità per capire bene quello che scopre. Altre, invece, gli basta solo qualche parola: ma è sempre quella giusta per dare l’idea di quello che vede. Con la sua bicicletta ci fa compiere diversi viaggi appassionanti, alla scoperta dello spirito di sacrificio del pugile venuto dalla provincia o la visita alla casa di Brecht, con i ricordi della sua epoca.
Poi, però, il filo si aggroviglia e si fa fatica a sbrogliare la matassa. Si passa a ritratti molto interessanti: le langhe albesi di Beppe Fenoglio e la discriminazione politica e sessuale subita da Pasolini. Oppure la tradizione contadina marchigiana: con Mario Dodero si vivono i gesti inconsueti da cui può nascere una fotografia d’autore. Scatti che vogliono immortalare momenti perduti nella nostra società americanizzata: l’attaccamento alla nostra terra e la genuinità delle tradizioni. La lettura rimane piacevole, perché l’autore ti racconta i viaggi che ha fatto, con quella sottile ironia che potrebbe usare mentre commenta un album di foto. Però c’è troppo stacco con gli altri argomenti, sia a livello tematico che dei sentimenti espressi. E non mi sembra chiaro il collegamento. In ogni caso, una lettura piacevole che spazia, su epoche e temi diversi. Fin troppo, forse.
Valori come l’impegno civile, la passione per la lotta e la giustizia sociale col passare delle pagine si mescolano mestamente a timide visioni di disuguaglianza o di nostalgia verso antiche usanze. Si respira il desiderio di quel senso di comunità e di solidarietà umana che l’odierno egoismo sembra aver dimenticato. Ma capita di leggere storie e personaggi di cui si vuole parlare un po’ a tutto tondo, ma di cui manca una visione globale. Si perde sempre di più il senso del reportage. Sembra più un misto tra il tema scolastico e il diario personale: scritto bene, con le parole giuste per descrivere le situazioni, ma senza passione. Se all’inizio del libro le parole pesavano come piombo, come un potente Jack Daniel’s che doveva andare di traverso a un Diego Della Valle, alla fine gli altri racconti di vita sembrano più un buon vino, ma un po’ annacquato.