I marò, l’India, la politica e i media italiani. Fabrizio Lorusso si Unita.it
Sul cosiddetto ‘caso marò’, o meglio sul caso dei due pescatori indiani uccisi nelle acque del Kerala da spari provenienti da una petroliera italiana, da poche ore sul web e nei social network c’è una lettera dello scrittore Alberto Prunetti, uscita su CarmillaOnLine (link), che è diventata ‘virale’, cioè s’è diffusa in Italia e all’estero con sorprendente velocità. Perché? Perché in poche righe dice la verità, quella che continua a ‘sfuggire’ ai media, all’opinione pubblica italiana e al mondo politico.
Eppure i materiali per informarsi ci sarebbero, basta consultare, almeno qualche volta, il sito di China Files o leggersi il libro di Matteo Miavaldi, che è un redattore di quel portale, intitolato ‘I due marò. Tutto quello che non vi hanno detto’ (Ed. Alegre, Roma, 2013). Matteo non ha scritto un testo ideologico, non ha lanciato anatemi contro l’India o a favore dell’onore nazionale, così come non ha cercato di sparare sentenze contro o a favore dei marò a priori. Ha riportato dei fatti e li ha ordinati, come dovrebbe fare un buon giornalista o un osservatore attento di quelle vicende e di quell’area del globo.
Ha letto, esplorato, scavato e semplicemente è uscito dalle dinamiche tossiche dei mass media italiani che, in questo caso, hanno assecondato una destra becera e nazionalista, portatrice di opinioni stereotipate e razzismi mai sopiti, mentre la classe politica seguiva a ruota, trasognata e idiotizzata. Ma a volte basta una boccata d’aria fuori confine e la realtà emerge semplice e nitida: la politica estera italiana, la sua “diplomazia” e la relativa schizofrenia mediatica rasentano il ridicolo. Il libro vola che è un piacere, soprattutto per chi non c’aveva capito nulla (o quasi) della vicenda dei marò, come me, che vivo in Messico e spesso stento a trovare fonti attendibili e analisi decenti su quel che succede in Italia e est del ‘bel paese’.
Copio sotto l’incipit della “Lettera ai miei studenti indiani sugli effetti linguistici dei colpi d’arma da fuoco partiti dal ponte di una petroliera italiana”, il testo di Prunetti, e rimando al link originale per chi volesse leggerla tutta (cosa che consiglio vivamente). Un abrazo e… LINK.
Care ragazze, cari ragazzi,
per svariati mesi sono stato il vostro insegnante di italiano tra Mumbai e Bangalore. La maggior parte di voi veniva dal Kerala. Alcuni dei vostri genitori erano pescatori. Ricordo i sacrifici dei vostri familiari, che speravano di regalarvi un futuro con una laurea in infermieristica e un corso di italiano. Ricordo che l’Italia e l’Europa rappresentavano ai vostri occhi la possibilità di una svolta nella vostra professione e nelle vostre vite.
Ricordo anche che, come tutti gli studenti, l’uso delle preposizioni italiane vi metteva in difficoltà.
Per presentarvi, dicevate: “Sono nato a Kerala”. Io allora spiegavo che la regola grammaticale vuole l’uso della proposizione “in + nome dello stato” e “a + nome di città. Per questo si dice “Sono nato in Italia” e “Sono nato a Roma”. Dato che il Kerala è uno stato (l’India è una confederazione di stati, come gli Usa per capirci) si deve dire: “Sono nato in Kerala, a Trivandrum”, come si dice “Sono nato in Colorado, a Boulder”.
Capirete il mio stupore e la mia tristezza, dopo l’assassinio dei due pescatori Valentine Jalestine e Ajeesh Binki, colpiti da colpi d’arma da fuoco provenienti dalla petroliera Enrica Lexie (è un dato di fatto: le istituzioni italiane hanno già versato un indennizzo ai parenti delle vittime in un accordo extra-giudiziario di cui si parla poco nel bel paese). Dopo questo tragico episodio, all’improvviso gli italiani hanno scoperto l’esistenza del vostro mare e hanno cominciato a dire: “Il nostro ambasciatore” oppure “l’inviato del governo”… “è andato a Kerala”. L’hanno fatto tutti, da chi allora era a capo del governo, ai direttori dei più prestigiosi telegiornali.
Hanno sbagliato, dimostrando la propria ignoranza di almeno una di queste realtà:
_l’India;
_la grammatica italiana;
Probabilmente entrambe, direi.