I reportage di Ferracuti raccontano il lavoro nell’Italia di oggi. Luca Sebastiani da “L’unità”
Luca Sebastiani (Da L’Unità del 09/02/2014)
Tutti parlano di lavoro, ma pare quasi che nessuno sappia più bene cosa sia.
Certo, i politici non perdono occasione per affermare di volerne fare una priorità, il centro della propria azione in conformità con l’emergenza nazionale della distruzione dell’occupazione, ma nonostante ciò non sembrano avere un’idea chiara di quale sia l’identità del lavoro oggi. Al di là della logica quantitativa dell’occupazione non sembrano in grado di definire il ruolo del lavoro, e non sono i soli.
Non si tratta in effetti di una loro mancanza, dei politici in particolare, ma di una condizione storica in cui il lavoro
è diventato quasi un fantasma che si possa affermare solo in assenza.
Non si parla di lavoro solo quando ci sono posti che si perdono? Ma positivamente, oggi, cos’è?
In un’epoca come l’attuale in cui è la turbofinanza col mezzo del denaro a strutturare la società, il lavoro-operaio
in particolare – ha perso la centralità che occupava in altre epoche, quando non era solo un mezzo di sostentamento, ma un valore in sé che conferiva un’identità collettiva ai lavoratori e allo Stato una direzione.
La cultura – gli intellettuali – negli anni del Dopoguerra rappresentava, interrogava, analizzava il lavoro nella convinzione che fosse il nodo centrale della realtà. Si poteva approcciare la condizione lavorativa, ad esempio, con la lente letteraria di Paolo Volponi, Goffredo Parise o Ottiero Ottieri. Oppure da una prospettiva poetica con l’epica minore di Elio Pagliarani o Vittorio Sereni. Ma oggi che il lavoro e l’industria sono ridotti ad una posizione servile rispetto al denaro e la ricchezza, anche la letteratura sembra aver disertato il campo.
Rimane solo qualche rara eccezione. Una di queste è senz’altro quella di Angelo Ferracuti, che lasciando da parte la finzione narrativa da anni ormai gira in lungo e largo la Penisola per andare alla ricerca del lavoro perduto, vessato, svalutato. Per cercar di capire qualcosa sulle mutazioni o le invarianze della condizione lavorativa, lo scrittore marchigiano ha infatti letteralmente preso la strada, armato di penna, per recarsi sul posto, parlare con i lavoratori e raccontarci nella forma del reportage storie che diventano emblematiche dell’Italia d’oggi.
Scritti per giornali e riviste varie nel corso degli ultimi otto anni, questi reportage sono ora raccolti nel bel libro I tempi che corrono (Edizioni Alegre).
E leggendoli, si va con lo scrittore a visitare Padula, Campania orientale, dove due donne sono morte bruciate nel sottoscala in cui, per 2 euro e 50 all’ora in nero,passavano le giornate a cucire materassi. Si va all’incontro di Guerriero, operaio degli stabilimenti marchigiani di Diego Della Valle che ha pagato col licenziamento la sua volontà di ricordare al padrone, a mo’ di danza macabra, la necessaria umiltà che s’impone a chi, come tutti, alla morte è destinato. Oppure si può incontrare Gianni ad Avezzano, che ha pagato con la depressione, il licenziamento e un lunghissimo processo, la spietata logica del mobbing praticata da certe aziende col fine di rendere gli uomini automi assoggettati.
In generale nei reportage di Ferracuti si respira una certa nostalgia dei tempi andati, della centralità operaia, dell’epica del lavoro liberatore, eccetera. Ma Ferracuti non sovraccarica ideologicamente il suo discorso, e la lingua piana, garbata, precisa cerca sempre di afferrare i particolari di una vicenda per interrogarne l’esemplarità.
La sua è un’osservazione civile del reale, interrogativa. Uno sguardo minuzioso nelle pieghe del quotidiano che si ritrova anche negli altri reportage contenuti in questa raccolta e che non necessariamente riguardano il lavoro. La sezione Immediate vicinanze contiene ad esempio tre reportage «sul posto», cioè tratti dall’esperienza dell’osservazione della propria realtà più prossima: del proprio lavoro, dei propri vicini di casa, della propria vita. Anch’essa scrutata con la medesima passione civile di quegli intellettuali cui Ferracuti dedica i ritratti-reportage raccolti nell’apposita sezione. Qui si va alla ricerca di Fenoglio ad Alba, di Di Ruscio a Oslo, oppure di Pasolini o del fotografo Mario Dondero. Tutti intellettuali diversi, ma tutti accomunati dall’aver messo al centro della propria opera d’osservazione l’uomo e il lavoro come suo attributo distintivo.