Isabella borghese su Controlacrisi.org
Da Controlacrisi.org del 15/05/2012
Di Isabella Borghese
Torniamo a parlare di Stefano Tassinari, dopo l’anticipazione del suo racconto e dopo avervi riproposto le parole di Checchino Antonini. Ci torniamo su perché ci ha lasciati da poco e in modo probabile nell’antologia edita da Alegre sono pubblicate alcune delle sue ultime pagine scritte, Il racconto amaro di un’assenza. Non possiamo dire che questa sia “un’occasione” per ricordarlo, ma di certo restare in silenzio, ancora un po’, leggere le sue parole e raccontarci che le parole di Tassinari, quelle, nessuno mai potrà levarcele, e a ognuno resteranno secondo la propria sensibilità e la personale conoscenza dell’Uomo che è stato.
Lavoro vivo, una delle ultime uscite di Alegre, ha permesso a dieci note firme del panorama editoriale italiano di contribuire alla realizzazione dell’antologia con i loro racconti e la loro personale penna declinando l’immaginazione al tema del lavoro. Bruno Papignani, segretario Fiom di Bologna parla chiaro nella sua postfazione: “Gli autori di questi racconti si sono spesi, hanno prodotto qualcosa di bello e di utile: bello e utile anche per me, quindi; qualcosa che ti arriva addosso violento come un pugno nello stomaco, qualcosa che però, subito dopo, passato il dolore iniziale, si trasforma”.
Si tratta di storie molto differenti tra loro, seppur legate dal rilievo del “lavoro” nella vita di ogni protagonista e di famiglie distrutte dalle morti sul lavoro, di uomini stanchi della precarietà ché li rende ricattabili… Giungla d’appalto, di Gianfranco Bettin, affronta la difficoltà dell’impiego per i migranti, ma anche la necessità di indagare sulla morte sul lavoro. Quest’inquietante e drammatica realtà delle morti strane: insoliti incidenti sul lavoro, uomini che precipitano da ponteggi, schiacciamenti, dose di eroina che ammazza un bangla senza che alcuno, tuttavia, possa confermare il suo stato di tossicodipendenza. Le condizioni dure e ambigue dei lavoratori migranti.
Giuseppe Ciarallo con Eqquessaè! sceglie di raccontare come è cambiata, peggiorata?, la vita della sua famiglia a seguito del licenziamento del padre e reso noto da una missiva che il protagonista ritrova dopo molti anni. L’autore all’epoca non era che un bambino di sei anni. Dopo il licenziamento del padre il trasloco da Milano a un paese. Poi la separazione perché il padre è costretto a trasferirsi in Germania. Ma, Eqquessaè!, esclama la moglie. Un’espressione che in Molise significa: “Così stanno le cose!”.
E allora se un padre sei costretto a vederlo solo due volte l’anno, magari per Natale e a cavallo tra luglio e agosto perché il lavoro lo porta lontano, come si abbattono queste distanze? Ci si attacca ai ricordi, con forza. Quando si è piccoli non si capisce granché. Da adulti invece, com’è successo al protagonista, dopo la morte del padre, ci si attacca persino a una lettera ritrovata. È la missiva del licenziamento narrato. Ed è facile allora scoprirsi nell’incapacità di buttarla per non privarsi di un documento che ha causato un duro e decisivo cambiamento del percorso di un’intera famiglia.
Maria Rosa Cutrufelli si spinge in America, con Fuoco a Manhattan. La memoria ci riporta a quella che è stata scelta come la giornata della festa della donna, l’8 marzo, benché non è quella esatta della tragedia. L’autrice riporta la storia della fabbrica che occupava gli ultimi tre piani di un grattacielo vicino a Washington Square. Ci lavoravano polacche, russe, irlandesi, tedesche, italiane del sud e forse anche del nord. Circa duecento operaie cucivano bluse e camicie in un ambiente che, per le dimensioni, le costringeva a sedersi di sbieco. Tra queste ricordiamo chi era appassionata di sindacato e non ci stava a lavorare in tali condizioni. All’improvviso un incendio, la tragedia sul lavoro. Chi si gettava dalla tromba delle scale, chi scappava con i capelli bruciati, il montacarichi utilizzato, in quell’occasione, per salvare le persone, si è rotto. Si potevano scorgere donne precipitare. Arrivava il processo: i proprietari della fabbrica accusati di omicidio di primo e secondo grado perché, a differenza di quanto stabilisce la legge, le porte da cui le lavoratrici si sarebbero potute salvare erano chiuse. Lavoro e memoria, ricorda la Cutrufelli, facce della stessa medaglia.
Aiutare un figlio a lavorare, anche in tempi di crisi. Consigliargli che in recessione rinunciare a un lavoro, seppur sottopagato, significa solo formare una fila dietro di sé. Una fila di persone in cerca di impiego e disperate. Da qui ha inizio il racconto Il ricordo amaro di un’assenza, di Stefano Tassinari. Una storia che fa male perché dietro l’accettazione di un lavoro sottopagato, che di per sé toglie la dignità all’uomo e riduce la possibilità di vita, si fa presto avanti e con maggiore forza la sofferenza per questo figlio che accetta di lavorare nell’edilizia e solo dopo un mese dalla sua assunzione mentre si trova ai piedi di un ponteggio viene colpito in testa da un carico. La tragedia colpisce l’intera famiglia: la madre che sceglie di pregare, il padre che invece neanche se la sente. “Ma è mai possibile che non si riesca a fermare questo sterminio, che ogni anno provoca la morte di centinaia di lavoratori?”. Quest’interrogativo sembra divenire la chiave di volta della storia. Sembra ricordarci e ancora una volta riportare alla memoria il dramma reale delle morti sul lavoro, senza escludere quello delle famiglie che non riescono a trovare la ragiona davanti a perdite così ingiustificabili.
Sono anche altri i racconti dell’antologia a rendere “vivo” il lavoro, per ricordare il titolo. Tra questi: Manovia di Angelo Ferracuti, Devo dirti una cosa, di Carlo Lucarelli, No Cap di Milena Magnani, Ma scrivere è un lavoro? di Giampiero Rigosi, Pezzi di ricambio, di Massimo Vaggi.
LAVORO VIVO, AA. VV.
Alegre
postfazione: Bruno Papignani
prezzo: 14.00 euro
pagine: 192
ISBN: 9788889772744