La bellezza di mercato delle fioriere ordinate – Elisabetta Grande da “L’Indice”
da L’Indice dei libri del mese
Un libro come sempre in attacco l’ultimo di Wolf Bukowski. Con stile asciutto, arguto e assai documentato, l’autore regala al lettore un punto di vista eclettico su temi all’apparenza neutrali, “né di destra né di sinistra”, quali sicurezza urbana e decoro (“che male fa un po’ di pulizia?”). Cavalcate con maestria dai politici italiani tanto di destra quanto di sinistra, anzi spesso prima di sinistra che di destra, quelle formule linguistiche sono invece altamente performative, ci spiega efficacemente Bukowski, e diventano gli strumenti capaci di veicolare di soppiatto un programma fortemente neoliberista, cui fa da corollario un nuovo modo di stare insieme – o meglio di stare sempre più da soli –, di osservare i fenomeni che ci circondano, di vivere i nostri spazi, di relazionarci gli uni con gli altri, portandoci inconsapevolmente e gradualmente a mettere da parte i nostri bisogni umani per assecondare solo le esigenze del mercato, del commercio e del danaro.
A vantaggio del turismo consumista e in nome della sicurezza e del decoro viene così cancellata ogni forma di socialità spontanea cittadina, dai mercati multiculturali (come quello delle Erbe a Bologna, ma non dissimile è il caso del vecchio “balon” di Torino) fonti di arricchente diversità, a tutti gli altri luoghi in cui dal basso (dall’“esterno” dice Bukowski) si creano economie alternative di scambio e di uso dei beni. Si tratta di luoghi che vengono sgomberati senza pietà, poco importa se in quegli spazi si cerca di far fronte a esigenze di sopravvivenza dei più deboli, siano essi gli occupanti stessi del luogo o gli abitanti del quartiere che dalle loro attività traggono beneficio.
L’“esterno”, ossia tutto ciò che è fuori dalla legalità formale, è infatti combattuto a ogni costo in nome di una sicurezza che giorno dopo giorno penetra nell’immaginario collettivo come un problema cui occorre far fronte, anche se un problema non è (è dagli anni novanta, si sa, che la criminalità così detta predatoria è in calo). Il messaggio di allarme sociale, ci spiega Bukowski, passa a livello subliminale, per esempio attraverso gli studi sul tema commissionati ad autorevoli e seri professori universitari (e si pensi al compianto Massimo Pavarini coinvolto già nel 1994 da Bersani nel progetto Città Sicure), poiché il solo fatto che tali personaggi si occupino di sicurezza convince la gente a preoccuparsi (“e se lo dicono anche loro, allora l’è propri vaira”). Oppure passa attraverso i continui richiami all’attenzione collettiva nei confronti di fantomatici borseggiatori o addirittura di attacchi terroristici (“non lasciate incustoditi i vostri bagagli”), operati dalle voci degli altoparlanti nelle stazioni ferroviarie, metropolitane o nei bus.
L’“esterno”, ossia il diritto che si genera dal basso in contrapposizione “alla legalità formale, rappresenta però spesso un formidabile motore di cambiamento e di progresso, come ci insegnano Rosa Parks ai tempi della lotta per la desegregazione razziale o l’elemosiniere del Papa oggi che, nel riallacciare abusivamente i pali della luce staccati dall’Acea, sfida la crudeltà delle leggi che lascerebbero, se rispettate, al buio e senza acqua calda intere famiglie povere, abitanti uno stabile pubblico occupato. Impedire la contaminazione della legalità formale con aspetti di legittimità sostanziale, significa frenare il dinamismo necessario alla sana vitalità di qualunque sistema giuridico irrigidendolo in forme autoritarie.
Neoliberismo e autoritarismo d’altronde vanno a braccetto, ci dice l’autore, e quell’ “idea senza parole” che è il decoro – che si impone cioè attraverso la paura del disordine senza che ci sia bisogno di spiegarne il significato – fa per esempio sì che si affermino come unici depositari del concetto di bellezza urbana gli amministratori della città e i loro esperti e che vengano, invece, bollati come delinquenti da sanzionare penalmente tutti coloro – come i writer che appongono la loro firma sui muri – la cui creatività i primi giudichino non conforme ai canoni estetici da loro stessi creati. “Bellezza di stato”, si potrebbe dire, ricordando altri tempi, che tuttavia è assai più appropriato definire “bellezza di mercato”, giacché è alle esigenze di un’immagine della città finta e turistica (pulita, ordinata, pacificata) che viene oggi immolata ogni creatività alternativa.
L’illusione di tranquillità e pace sociale che l’applicazione dei concetti vuoti di decoro cittadino, sicurezza e vivibilità urbana mira a raggiungere, in contesti viceversa vieppiù segnati da elementi forieri di forte conflittualità quali la diseguaglianza economica e l’aumento della povertà, è poi ottenuta anche attraverso la repressione del più debole. Come negli Stati Uniti, anche in Italia, in nome delle su citate “idee senza parole” i poveri di strada vengono perseguitati per il solo fatto di esistere e spinti fuori dalle città. Strumenti giuridici come il daspo urbano, inaugurato da Minniti e poi appesantito da Salvini, o come le ordinanze sindacali di Maroni, poi riprese in altra forma da Minniti dopo che quelle di Maroni erano state dichiarate incostituzionali nel 2011, o ancora come i tantissimi crudeli regolamenti di polizia urbana anti-povero, servono allo scopo di nascondere le contraddizioni pesantissime di un neoliberismo inegualitario che produce pochi ricchissimi e tanti poveri e poverissimi.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, il potenziale conflitto sociale determinato dalle fortissime disuguaglianze in cui siamo immersi e il cui specchio sono proprio i poveri di strada che in quanto tali vengono puniti nel tentativo di allontanarli dalle città, è infatti temporaneamente disinnescato. Almeno per tutto il tempo in cui chi povero non è ancora non realizzi che soltanto immedesimandosi nel più debole e lottando con lui contro un sistema ingiusto potrà sperare di non fare presto o tardi la stessa fine. D’altronde la forza auto-riproduttiva del sistema neoliberista passa proprio per la sua capacità di generare “finte spiegazioni e falsi nemici prossimali contro cui indirizzare (male) la giusta rabbia per il peggioramento della propria condizione materiale”, ci dice Bukowski, riprendendo la distinzione evidenziata da David Smail fra poteri distali e prossimali. Catturare, infatti, l’attenzione di tutti coloro che stanno sempre peggio indirizzando il loro malessere sul “pericoloso” povero di strada e non sulle cause che ve lo hanno portato, o sui migranti che ci invadono, eliminando dall’orizzonte cognitivo la responsabilità che abbiamo nella loro fuga da casa e nella corsa globale verso il basso dei salari e delle tutele dei lavoratori, o ancora sulla mancanza di risorse per sanità o scuole, senza vederne la connessione con una riduzione dell’aliquota fiscale a favore dei più abbienti, sono altrettanti modi per evitare la ribellione di massa che ci si potrebbe aspettare di fronte ai risultati sociali ed economici di un sistema che avvantaggia solo i ricchi e i ricchissimi.
E mentre l’ideologia neoliberista fa uso di potenti strumenti di distrazione di massa e di retoriche che condizionano pesantemente il pensiero collettivo fino a neutralizzare ogni prospettiva critica, questo pamphlet ci permette di rimanere lucidi. La città di plastica e fintamente pacificata, al servizio del consumatore straniero, che “le idee senza parole” come sicurezza e decoro urbani producono, è davvero ciò che vogliamo? O quella città non rappresenta, viceversa, il simbolo evidente di un autoritarismo di mercato sempre più disumano cui siamo ormai asserviti? Pensiamoci leggendo l’ultimo Bukowski.