La donna sovranista – Laura Marzi da “Azione”
da Azione – Settimanale di informazione e cultura della cooperativa Migros Ticino
Che cos’è il femminismo? Una domanda difficile, impossibile anzi, perché non esiste un solo femminismo, ma molti, basti pensare già solo alle differenziazioni relative agli indirizzi sessuali: cis, trans, lesbo, eccetera. Eppure se c’è una connotazione che definisce tutti i femminismi è la ricerca della libertà, una aspirazione chiara a lottare, tra le altre cose, affinché le donne tutte possano averne di più: libertà sessuale, di interpretazione del mondo, di vivere la propria vita scevre dai dettami e dai doveri che il ruolo di genere imponeva e impone. A quanto, però, ci spiega Sara R. Farris nel suo saggio Femonazionalismo. Il razzismo nel nome delle donne anche questo legame che sembrava inscindibile tra libertà e femminismo sta vacillando sotto i colpi, ormai ventennali, della xenofobia e del razzismo.
La studiosa italiana, docente alla Goldsmiths University of London, in una cornice teorica molto approfondita e ampia analizza come casi esemplari Paesi Bassi, Francia e Italia dimostrando come in questi tre contesti dai percorsi politici e dalle storie nazionali molto diversi si possa notare uno stesso fenomeno chiamato femonazionalismo.
Che il corpo e le vite delle donne, più in generale, siano da sempre e continuino a essere strumentalizzati dalla politica per obiettivi e ideologie le più diverse si sa. Sappiamo che una buona parte dei messaggi razzisti che per esempio in Italia vengono rivolti contro i migranti dipingono gli uomini stranieri come aggressori e violentatori delle donne italiane. Affermazioni queste che ignorano – come? – il dato eclatante che la violenza di genere, piaga mostruosa della terra italica, vede come protagonisti tra i carnefici per la stragrande maggioranza persone vicine alle vittime. Una ricerca dell’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) di qualche anno fa riscontrava che il 76% degli stupri era compiuto da compagni, ex, parenti e amici.
La novità del femonazionalismo riguarderebbe però il coinvolgimento delle femministe in questa pratica di strumentalizzazione. Molto conosciuto per esempio, in Francia, il caso di Elisabeth Badinter o in Italia di Oriana Fallaci e Barbara Spinelli che si sono schierate apertamente contro il diritto per le donne musulmane a indossare il velo perché esso sarebbe il simbolo dell’arretratezza islamica e dell’assenza in quella civiltà della parità di genere.
Il tema è scottante e complesso, ma al di là delle singole idee che ognuno ha in proposito, ciò che fa notare Farris è che una posizione di questo tipo pone per il femminismo tre ordini di problemi. Indicando per le donne musulmane l’Occidente come modello è stata «distolta l’attenzione sulle molteplici forme di disuguaglianza che ancora colpiscono le donne occidentali». Inoltre, continua Farris, alle donne migranti viene indicata come via di liberazione dalla cattività islamica il lavoro: ma quale tipo di lavoro? Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di lavoro di cura, domestico, proprio quelle attività, quindi, da cui il femminismo della seconda ondata ha contribuito a liberare, almeno in parte, le donne occidentali.
Infine Farris si sofferma sul materiale educativo che viene distribuito in Francia, in Italia e nei Paesi Bassi alle persone migranti per istruirle sui costumi e le leggi della nazione che li ospita: in tutti e tre i casi le donne migranti vengono individuate come i soggetti chiave per il processo di integrazione. Devono imparare come funziona, per esempio, il sistema scolastico del paese d’arrivo e essere parte attive del processo educativo, partecipando alle attività scolastiche dei propri figli. Non solo ci troviamo allora di fronte alla contraddizione tra il femminismo storico che aveva cercato di liberare le donne dal ruolo di madre come garante unica della cura e dell’educazione della prole, ma poi come fanno le donne musulmane a partecipare alle attività di una scuola, per esempio in Francia, se molto spesso viene loro negato l’accesso all’edificio perché indossano il velo?
Un testo interessante, quindi, perché al di là delle difficili questioni che pone il tema enorme dell’integrazione, mostra in modo evidente come anche il movimento dei femminismi, tradizionalmente antirazzista, abbia ceduto a derive nazionaliste, sposando, in alcuni casi, un’idea di supremazia occidentale che non si allontana poi così tanto da quella che sottostava al colonialismo, una delle cause vere e taciute del fenomeno migratorio contemporaneo.