La memoria popolare come arma da brandire
Questa piccola controstoria popolare è una storia di partigiani, di compagni, di sovversivi. In senso etimologico, rispettivamente, di chi parteggia, di chi condivide il pane, di chi abbatte e volge dal basso verso l’alto.
Sono parole bellissime. Parole che però facciamo fatica a pronunciare oggi, perché il loro suono pare anacronistico, perché nei decenni si sono incrostate di retorica. Alberto Prunetti ci offre con questo libro un antidoto al processo che, strato su strato di sedimenti, nel tempo rischia di rendere innocue storie di lotta esemplari, così come parole vuote espressioni cariche di significati: il messaggio ripetuto forte e chiaro, senza timori, dal Prunetti è che le storie vanno raccontate con parole sempre nuove; citando Gianni Rodari, così come fa l’autore di questo PCSP in una bellissima intervista pubblicata sul blog illavoroculturale, dobbiamo «usare le storie vecchie per inventare le storie nuove». Dobbiamo, perché questo libro ha l’ambizione di contagiare chi lo legge, perché la posta in gioco è troppo alta per lasciarla alla sola responsabilità dei cantastorie “di professione”. Nelle prime pagine del libro è riportata a proposito una significativa citazione del filosofo Giles Deleuze – che chiarisce il pericolo che si corre a demandare ad altri il compito di raccontare, di rappresentare un “nostro” mondo, rinunciando alla presa di parola: «perché se siete presi nel sogno di un altro, siete fottuti».
PCSP non a caso è pubblicato nella collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1, che si prefigge l’obiettivo di «cercare e avvistare oggetti narrativi non-identificati, mandare segnali, stabilire un contatto con le intelligenze aliene al mainstream». Indubbiamente questa piccola controstoria è un oggetto narrativo non-identificato, perché non etichettabile immediatamente in un genere: si tratta infatti di un ibrido tra saggio storico, fiction, poesia estemporanea (trascritta) e canzoniere politico del primo Novecento, che pesca in una varietà di materiali, come le carte d’archivio, la storia locale maremmana, dizionari biografici e repertori musicali. Per usare le parole dell’autore, PCSP si muove «tra memoria e leggenda, tra storia e romanzo».
Il tono della prosa è epico e a tratti la scrittura di Alberto è mitologica. Buona parte del libro è una riscrittura di un precedente romanzo, Potassa, ed è una riscrittura per sottrazione, in cui viene privilegiata l’unità di luogo, che si delimita – anche se qualche sconfinamento è presente – alla Maremma. Sono le stesse terre narrate in alcune opere di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, le stesse facce sporche dei minatori, le stesse schiene rotte dei contadini. I personaggi le cui gesta sono raccontate nelle pagine di PCSP sono brutti, sporchi e cattivi, nulla dell’agiografico, piuttosto vi si ritrovano tratti tipici dello spaghetti western. Vite rocambolesche, esemplari nella loro indomabilità, fino a quella del «compagno dimenticato», un “personaggio multiplo” che il Prunetti costruisce miscelando biografie ribelli, attraverso una sorta di “montaggio” di storie diverse e materiale recuperato dai casellari di compagni antifascisti.
La narrazione si apre con il racconto di una vicenda legata al millenarismo, cioè la credenza e l’attesa del regno di Cristo in terra, ma che rappresenta al contempo la rottura con questa tradizione, il passaggio oltre la soglia che divide il sacro dal profano, con la rottura del tempo ciclico e reversibile del sacro che si scontra con il tempo del progresso e irreversibile della storia e della quotidianità, aprendosi alla modernità. E qui compaiono le istanze, i conflitti e le contraddizioni sociali e della storia, qui gli eretici passano il testimone ai rivoluzionari, che credono e lottano perché il “regno dei cieli” debba essere di questo mondo e non di un altro, subito e non demandato a una dimensione escatologica.
Qualche settimana fa su Giap – il sito della Wu Ming Foundation – Alberto ha pubblicato un post dal titolo Chi sogna una foiba in Maremma? in collaborazione con il gruppo d’inchiesta Nicoletta Bourbaki che è anche uno spin-off del suo PCSP.
Nicoletta Bourbaki è un gruppo d’inchiesta attivo da alcuni anni e si occupa delle manipolazioni della storia italiana del Novecento nelle pagine di Wikipedia. Il suo lavoro d’inchiesta si è allargato presto anche al di fuori di quanto succede in Wikipedia, con particolare attenzione alla narrazione delle vicende relative al confine orientale (Giorno del Ricordo, Trieste e litorale adriatico, foibe, ecc.).
Cito questo post perché sento forte la risonanza con PCSP nella necessità di scrittura, dettata dall’impellenza di riappropriarsi di un punto di vista situato e di parte, pena la riscrittura della storia da parte di quella componente della società che per l’interesse dei pochi calca il suo tallone di ferro sui molti, una riscrittura che in Italia negli ultimi decenni si è avviata sulla base della cosiddetta memoria condivisa – un ossimoro, la memoria non è mai condivisa, e una versione ufficiale e univoca della storia è presente solo nei regimi totalitari, o nei romanzi distopici (si pensi al Ministero della verità di Orwell – 1984). È un’urgenza questa riappropriazione, che rende vivide anche le pagine di PCSP, perché come Alberto Prunetti scrive è necessario agire «prima che ci chiedano di vergognarci della morte di assassini e torturatori, di dittatori e di criminali di guerra repubblichini. Prima che la Festa del Buco Unto della vicina Civitella, pregevole manifestazione di gastronomia maremmana, sia surclassata dalla Sagra del Buco di Aratrice, della memoria popolare divoratrice.»
La memoria popolare sia un Hydra, ogni racconto “di parte” – della “nostra” parte, dalla “nostra” parte – una testa rinata e mai doma, per lasciare Ercole – e i tutori dello status quo – con la clava accesa che si consuma in mano. E resistere un minuto più di loro.
*Fonte articolo: https://mrmillbase.wordpress.com/2016/03/31/la-memoria-popolare-come-arma-da-brandire-la-lezione-di-pcsp-piccola-controstoria-popolare-di-alberto-prunetti/