La storia e le storie di transessuali e travestiti: corpi e alleanze – Elisa Virgili da “Intersezionale”
Dopo vent’anni, la casa editrice Alegre ripubblica Tra le rose e le viole. La storia e le storie di transessuali e travestiti di Porpora Marcasciano. Lo fa in un momento in cui in Italia la camera approva il Ddl Zan e la maggior parte delle mie colleghe spera in un’altra stagione di Pose.
Prendo una copia del libro al Festival Contrattacco a Rimake, un luogo per me importante in cui costruisco relazioni e immaginari assieme a molte compagne. Oltre a Tra le rose e le viole, allo stesso banchetto, prendo Chav di Dan Hunter, edito dalla stessa casa editrice.
Ora che ci sono tutti gli elementi posso cominciare a tessere gli intrecci che ci sono tra questi e iniziare a rispondere alla prima e più scontata domanda che ci viene in mente: perché ripubblicare questo testo dopo vent’anni? Beh, non si trovava più e ce n’era bisogno.
Non tanto, o non solo, un bisogno di ricostruzione storica, di una storia poco e mal raccontata che qui emerge con dieci voci diverse che dialogano con l’autrice, ma come bisogno di creare una genealogia che definirei politica.
Quando dico genealogia il riferimento è chiaramente al metodo foucaultiano enunciato ne L’ordine del discorso. Un metodo che cerca di analizzare gli eventi storici nella loro positività, rimanendo in superficie, ricercando una “storia della verità”, in opposizione al concetto metafisico della verità.
Questo metodo non è la ricerca di un concetto unico di verità ma piuttosto di come è stata costruita quella che percepiamo come tale. È una ricerca dell’origine in cui al centro c’è il corpo come “superficie di iscrizione degli avvenimenti”. Il tentativo è quello di contrapporre “innumerevoli inizi” ad un’origine unica moltiplicando i piani d’analisi e raccontando storie che non sono mai state raccontate. Quella a cui si riferisce il metodo genealogico è una “storia effettiva” alla cui base c’è il concetto di evento, questo comporta il fatto che non ci sia una storia con un inizio e una fine, con un percorso lineare e orientata teleologicamente, ma un percorso irregolare e discontinuo.
Quella che intendo allora qui con genealogia politica non è il racconto di una storia tradizionale, ma di una sorta di contromemoria che racconta una storia marginale, a partire dai soggetti che quei margini li abitano.
L’esigenza, mi pare, è quella di cercare un collegamento, non lineare, non su una linea di progresso, tra le vite e le battaglie che vanno dagli anni Sessanta ad oggi, di capire quali fili si intrecciano tra l’articolo 85 e il Ddl Zan.
Da una parte allora c’è questo famoso articolo, che più volte emerge nelle storie del libro di Porpora Marcasciano, ovvero l’articolo 85 del Codice Civile riguardante il mascheramento e le condanne infamanti, legge 27/12/1956, numero 1423.99, art. 3 -12, che veniva utilizzato proprio contro le persone trans, assieme all’articolo 1 che, dichiarando le persone trans “socialmente pericolose” le privava della patente di guida, del diritto di voto ed le inviava al confino.
Dall’altra c’è il Ddl Zan, il risultato di un iter lungo anni e di diverse proposte di legge (Zan, Scalfarotto, Boldrini) che si inserisce dentro al Codice Penale e che tutela chi subisce una violenza non solo per motivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa, com’era già stabilito, ma anche per motivi legati all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alla disabilità. Si tratta a tutti gli effetti di definire un reato d’odio, di tutelare un’aggressione avvenuta perché sono quello che sono, e per questo non è un’aggressione qualsiasi.
Ora il quadro legislativo, in entrambi i casi, ci sembra una cornice da cui i corpi in questione strabordano. Certamente i nostri corpi non stanno in queste norme ma in qualche modo queste norme hanno agito su questi corpi, la prima in modo opprimente e violento, la seconda si spera in termini più positivi. In mezzo, ma non sono finite, ci sono state lotte, rivendicazioni e desideri.
Ci sono state vite che quotidianamente hanno sfidato, e continuano a farlo, le norme di genere e non solo.
Le storie di Roberta, Nadia, Gianna, Antonello, Pina, Claudia, Max, Antonia, Erica e Sofia che negli anni hanno incontrato Porpora che nel libro le intervista e dà loro voce, costruiscono una narrazione che rovescia lo sguardo, non è una storia su ma è la storia di, è il racconto delle storie a partire da quei corpi che la Storia ha cercato di plasmare. Una Storia che ci ha raccontato come devono essere i corpi e i soggetti che li abitano, e che ha escluso e invisibilizzato chi non rientrava in questa narrazione. Raccontare delle storie diverse è allora anche una richiesta di riconoscimento, di essere vist*. Parliamo di un riconoscimento non in ottica inclusiva ma di presa d’atto, si chiede qui di guardare quel mondo non di accorparlo e farlo proprio. Sono storie di discriminazioni, di scelte talvolta obbligate ma consapevoli, di desideri e di costruzioni di relazioni.
Sono storie che molto spesso parlano di precarietà economica e di prostituzione, e, a seconda della città o degli anni che passano nei racconti di una vita, raccontano di rivalità ma anche di molta solidarietà. Di quella solidarietà coatta, dei chav di cui parla il libro di Hunter, un termine che praticamente nessun* ha rivendicato, una sorta di insulto che indica il sottoproletariato inglese che campa attraverso i sussidi e che non hanno comportamenti che rientrano nella morale comune: un modo di vivere che a volte si trasforma in una scelta pur partendo da una necessità.
Si tratta di una solidarietà prepolitica ma che di politico ha molto. Dico prepolitica non nel senso di non consapevole ma nel senso di non appartenente a un movimento, almeno inizialmente. Una solidarietà che deriva dall’avere le stesse necessità e gli stessi bisogni, pur avendo a volte desideri diversi. Delle relazioni e del mutuo aiuto che non sono gentilezza ma costruzione di comunità da parte di chi dalla società normante è stat* esclus*, e forse non se ne dispiace così tanto se questo dà la possibilità di pensare mondi nuovi, sperimentare con i propri corpi e scardinare le norme di genere.
E qui torno ancora a Chav per riflettere sull’importanza dell’arrivare a scardinare queste norme a partire da una necessità stringente che è quella del proprio corpo e, non in secondo piano, quella economica. L’autore di questo testo mette a tema una questione fondamentale: chi sono i soggetti che portano avanti delle rivendicazioni politiche?
Il racconto della sua vita di chav, tra difficoltà economiche, prostituzione, omofobia e carcere, si intreccia con la sua scoperta di Gramsci e Angela Davis, con la scoperta dello studio e della politica. Ma proprio l’attraversamento dei movimenti politici fa emergere la questione fondamentale: da che posizione parla chi è protagonista di questi movimenti? Anche se alcun* hanno rinunciato ai propri privilegi e li hanno messi in discussione, questa è stata una scelta e le lotte che portano avanti non nascono da una necessità, dal bisogno e dal tentativo di sopravvivere.
Molto spesso le protagoniste di questo libro si raccontano come trans di un’altra generazione, di un altro periodo storico in cui era necessario lottare costantemente e guardano alle persone trans di oggi (di vent’anni fa) come a giovani dalla strada spianata, certamente constatando che non è tutto facile nemmeno oggi ma sicuramente molto più semplice di allora.
Nel tentativo allora di riannodare storie passate e presenti, rivendicazioni e desideri passati e presenti, quanto la stringente necessità ha un ruolo? Quanto quella favolosità è stata sussunta? E soprattutto quali alleanze sono possibili a partire da corpi e posizionamenti diversi?
Me lo chiedo perché per me sono necessarie queste alleanze, nella consapevolezza che la matrice della violenza e della discriminazione è la stessa, che la norma che opprime i nostri corpi è la stessa.
Me lo chiedo perché scrivo con un corpo e una posizione diverse da chi si racconta in questo libro e mentre scrivo e quindi paradossalmente in qualche modo prendo spazio nel tentativo di rilanciare alleanze, penso che l’unica cosa per far prosperare queste alleanze sia fare un passo indietro e lasciare spazio e voce a chi solitamente ne ha di meno ma anche capire che, nonostante la consapevolezza dei privilegi, non ci sono gerarchie di desideri, si tratta solo di metterli in comune.