Lavoro vivo, un libro strano (Gino Rubina da L'”Inchiesta”)
Da tempo in questa fase di crisi, di preoccupazioni e ansie, siamo abituati ad entrare in libreria , scorrere il retrocopertina per leggere trame di misteriosi omicidi e misurare l’avvincente attrazione della trama che ci farà sfuggire per qualche ora dalla cruda realtà.
Sono i gialli e i noir, in particolare se di autori nordici, i nuovi sedativi, le armi postmoderne per la distrazione di massa da una realtà sociale sempre più pesante che invita a non immaginare il futuro.
Talvolta usciamo dalla libreria soppesando il volumetto appena comprato con la segreta speranza che scenari, trama e personaggi non assomiglino troppo quelli tratteggiati nel volumetto che abbiamo finito di leggere la settimana prima ….
Questo non succederà per i lettori che usciranno dalla libreria con Lavoro vivo .
Lavoro vivo , è un libro vero che nasce per la volontà di un gruppo di scrittori che ha offerto alla FIOM, il sindacato dei metalmeccanici, di raccontare 10 storie diverse di uomini e donne che vivono del/nel proprio lavoro.
Dieci storie diverse . “ Fuoco a Manhattan” di Maria Rosa Cutruffelli che, in una sequenza cinematografica, ci porta all’interno del laboratorio d’abbigliamento con tante ragazze al lavoro il 25 marzo 1911, un secolo fa , a New York , vengono avvolte dal fuoco senza vie di scampo. Una grande tragedia che disvelò a quell’epoca le condizioni inesistenti di sicurezza sul lavoro in particolare nei laboratori ove lavoravano le emigranti in particolare italiane. “ … cadevano dalle finestre, a grappoli, da sole o abbracciate l’una con l’altra , e le gonne in fiamme segnavano l’aria “
Le povere ragazze non ebbero neppure giustizia dal tribunale che mandò assolti i proprietari dall’accusa di non avere adottato misure adeguate di prevenzione incendio e per avere sbarrato le porte che dovevano servire come uscite di sicurezza.
Di Gino Rubini
(Da “Inchiesta”, 9/06/2012)
L’unica giustizia umana, il risarcimento avviene alla memoria con la istituzione della festa dell’ 8 marzo.
In altre forme e modi la storia si ripete in queste ore ove a morire per il terremoto sono in prevalenza operai schiacciati dal cemento di capannoni che sono crollati come castelli di carte.
Manovia di Angelo Ferracuti è un altro bel racconto ove il protagonista che ama sfogarsi con la scrittura in modo quasi ossessivo è operaio alla manovia in un calzaturifico.
Questo giovane operaio produce scarpe di lusso che non potrà mai permettersi, al massimo ne potrà comprare ad un prezzo per lui esorbitante un paio con difetti, vendute allo spaccio aziendale.
Ai movimenti ripetitivi della manovia il protagonista risponde con la sua forte capacità evocativa della scrittura… La scrittura come catarsi, come sublimazione della rabbia rispetto al proprio essere sociale di lavoratore senza prospettive. L’operaio della manovia costruisce una pagina esemplare nella parte finale del racconto ove emerge potente il richiamo fatto al padrone sulla vulnerabilità umana e sulla morte come implacabile livella di tutte le differenze sociali: “ … E quei vermi, credi ad un fesso , se ne fregheranno altamente del tuo conto in banca. Nessun istituto di credito e nessun massone, prete illuminato, di quelli che ti piacciono tanto, potrà correre in soccorso. Puzzerai morto come i tuoi operai, come , come noi. E siccome sulla tua carcassa non cresceranno più violette, se ci pensi un attimo, se fai una volta per davvero mente locale , un po’ d’umiltà non ti dovrebbe essere gravosa. “
In “devo dirti una cosa” Carlo Lucarelli affresca una storia sconvolgente dell’operaio che per anni tace di una terribile colpa: la complicità con il padrone nella manipolazione della scena di un infortunio mortale nel cantiere in cui lavorava. Un segreto che conserva anche con la moglie che era stata la fidanzata dell’operaio morto. Il povero operaio morto per una caduta dal ponteggio venne scaricato per strada, messo sopra una vespa per simulare l’incidente stradale…
Tutto sembrava dimenticato quando arriva a casa loro un giovane avvocato del sindacato che sta indagando su quell’incidente ….
E’ questo evento, la riapertura delle indagini, che fa rivivere in un doloroso feedback all’operaio la sua complicità con il figlio del padrone e lo obbliga alla prova più dura : dire la verità alla donna che è diventata sua moglie : “ …devo dirti una cosa …”
Questo volume è uscito pochi giorni prima della morte dello scrittore bolognese Stefano Tassinari. Stefano aveva voluto quest’opera , era stato lui che aveva proposto alla Fiom il progetto Lavoro vivo ed era stato l’animatore del coordinamento tra gli scrittori che avevano aderito a questa straordinaria iniziativa.
“ Il ricordo di un’assenza “ di Stefano Tassinari è la narrazione dell’esperienza di un padre che rivive nella memoria e nelle immagini il rapporto difficile vissuto con il figlio che sta intubato e incosciente nel reparto di rianimazione dopo un incidente molto grave sul lavoro. Un figlio che non si risveglierà più. L’epilogo è la descrizione del vuoto, dell’assenza che segue come un’ombra ogni ora ogni giorno, cinque anni dopo . L’immagine è struggente : “…. Anche Monica ( la moglie, ndr) si è spenta . Ma in un modo diverso, con la mente che va e il corpo che resta , a vegliare i frammenti di un viso destinato a rimanere giovani per sempre. Per qualche mese ho provato a farla ragionare, usando il principio di realtà affinchè prendesse atto di essere rimasta sola assieme a me ; poi, dopo un periodo sufficientemente lungo per rendermi conto c he non sarebbe più tornata indietro , ho deciso io di prendere atto di qualche cosa. Così ogni volta che l’ho vista apparecchiare la tavola per tre e l’ho sentita chiedermi se Ricky ce l’avrebbe fatta a venire a cena , io l’ho assecondata, magari rispondendole di avere pazienza e di non farsi troppe illusioni , perché spesso Ricky faceva tardi con il nuovo lavoro, e quindi …”
Le statistiche degli incidenti sul lavoro non riportano le devastazioni delle vite dei famigliari, dei padri , delle madri , delle mogli e dei figli dei “caduti” sul lavoro, sono rappresentazioni attuariali , diagrammi e istogrammi che non misurano il dolore e il vuoto vissuti da migliaia di persone.
Ne l volume vi sono altri racconti molto avvincenti che consentono una riflessione seria sui processi di manipolazione delle coscienze che hanno portato, in questi anni, una parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente a vedere il lavoro come qualcosa di separato dai corpi materiali dei lavoratori , uomini e donne , dalle loro soggettività come se un lavoratore o una lavoratrice non avessero desideri o speranze e un proprio punto di vista sulle vicende del mondo e del proprio lavoro, un progetto di vita pulito.
E’ questa crudele insensibilità, questa incapacità d’immaginare la condizione di chi vive del lavoro fatto con le proprie mani che porta anche alcuni ministri, leggi Fornero, a perorare, per esempio, i licenziamenti facili come fossero una panacea e a rendere ancora più profondo il solco che separa questa classe dirigente dalla vita reale degli operai fatta di fatica e di paure di perdere il lavoro e di “scivolare” nella emarginazione sociale.
Un libro “strano” che per davvero va letto per la freschezza delle storie narrate .
Il filo rosso della speranza di un futuro migliore, quel filo che ha permesso a generazioni intere di uomini donne di fare fronte con successo alla fatica e alle difficoltà diviene sempre più esiguo e in molte realtà è strappato.
Infine il racconto NO CAP di Milena Magnani si distingue l’avvincente narrazione dell’esperienza da parte dei braccianti africani schiavizzati da un caporale. Il ritratto di Thomas, giovane operaio del centro africa è per davvero una costruzione narrativa forte e avvincente.
Un plauso agli AA che hanno scelto di riportare alla luce nelle loro narrazioni la relazione profonda tra il lavoro e la persona del lavoratore: da anni è in atto un’operazione culturale tesa a separare il lavoro dalle persone che lavorano, a isolare il lavoro come pura cessione di tempo, azioni e performaces misurate a parte e trasformate in pure merci. Questa ideologia che viene dalle recenti politiche ad ispirazione neoliberista della stessa unione europea pretende di rapportarsi con l’essere cittadino e consumatore ma ignora volutamente la figura del lavoratore intesa come essere sociale che realizza nel lavoro identità e autostima e definisce i propri diritti tramite l’esperienza del lavoro. Lavoro vivo presenta l’altra faccia della luna