Le mille vite di Eduardo, il Limonov della Bolivia – Mattia Salvia da “il Venerdì”
Da il Venerdì
Chi era Eduardo Rózsa-Flores? Un giornalista mandato a coprire le guerre nei Balcani o un colonnello delle forze speciali croate? Un musulmano sufi o un membro dell’Opus Dei? Era un comunista, una spia sovietica addestrata dal Kgb o un neofascista che è morto in Bolivia, nel tentativo di rovesciare il governo di sinistra di Evo Morales? Eduardo Rózsa-Flores è un mistero proprio perché in vita è stato tutte queste cose. La Controfigura di Luigi Lollini (Edizioni Alegre, pp. 384, euro 16) è un romanzo-inchiesta che cerca di sciogliere l’enigma su questa figura di «strano rossobruno uscito dal ventre del socialismo reale» partendo dall’esperienza diretta dell’autore, oggi docente bolognese, che l’ha conosciuto di persona alla fine degli anni Ottanta.
Nato nel 1960 a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, e morto nello stesso luogo nel 2009, Rózsa-Flores era figlio di un profugo ungherese comunista e di origine ebraica che passò la vita a spostarsi da un paese all’altro fino a riportare la famiglia in Ungheria. Qui Eduardo aveva fatto l’università, era stato nei giovani comunisti ungheresi ed era entrato nella scuola dei servizi segreti a Mosca. È in questo periodo che ha incrociato Lollini. «L’avevo conosciuto a Bologna nel 1988 e l’ho rivisto nel 1989 facendo l’interrail a Budapest. Infine l’ho risentito al telefono, mi ha mandato delle cartoline e delle lettere».
Poi però hanno perso i contatti: «Non è che fosse così importante nella mia vita, io avevo altre cose da fare e lui pure». Nel caso di Rózsa-Flores queste cose da fare probabilmente includevano l’andare nei Balcani a seguire la guerra, prima come giornalista e poi come volontario nella guardia nazionale croata. In questo periodo venne ferito in battaglia tre volte, nel 1993 diventò colonnello e forse si rese responsabile dell’omicidio di due giornalisti: “forse”, perché non c’è mai stato nessun processo. Di sicuro era a capo di un plotone di volontari internazionali composto «per il novantacinque per cento da persone con precedenti penali, molti dei quali erano ex membri di gruppi nazifascisti tedeschi e irlandesi».
Tornato dai Balcani, la vita di Rózsa-Flores divenne ancora più enigmatica. Si convertì all’islam, si professò fervente sostenitore dell’Iran e della causa palestinese, scrisse libri di poesie sufi e diventò vicepresidente di una comunità musulmana ungherese. Recitò in un film sulla sua vita e strinse amicizia con Carlos lo Sciacallo, uno dei più famosi terroristi del mondo. Alla fine venne ucciso, nel 2009, durante un blitz della polizia boliviana in un albergo di Santa Cruz de la Sierra. «È stato una persona che ha vissuto, interpretando molti ruoli. Raccontare la sua storia significa portarsi dietro queste menzogne e finzioni», ci ha detto Lollini. Rózsa-Flores è stato una specie di Limonov che non ce l’ha fatta. «Ci sono aspetti comuni», ma il fondatore del Partito nazional-bolscevico russo, reso famoso dal libro di Emmanuel Carrère, «ha raggiunto il successo, e poi era uno che si metteva in posa a sparare, mentre Eduardo sparava davvero e probabilmente ammazzava pure».
«Il suo lato migliore era il suo carattere di individuo estroverso, disponibile ai contatti umani», è la conclusione di Lollini. «È sicuramente una figura particolare e misteriosa, e secondo me nelle sue scelte ci dice qualcosa che va anche oltre la sua persona».