Manifesto della cura – Marta Lilliù da “La bottega di Hamlin”
Alegre ha recentemente pubblicato la traduzione italiana di The Care Manifesto, un libro pubblicato nel 2020 dalla casa editrice londinese Verso.
Il Manifesto della cura. Per una politica dell’interdipendenza (Alegre, 2021) è scritto da The Care Collective (Andreas Chatzidakis, Jamie Hakim, Jo Littler, Catherine Rottenberg, Lynne Segal), un collettivo per la cura nato nel 2017 e formato da persone con profili accademici e politici diversi tra loro.
La prefazione è di Sara R. Farris, la postfazione è scritta da Jennifer Guerra. La bella illustrazione di copertina è di Rita Petruccioli e recupera l’idea di fondo del libro: siamo tutti interconnessi e destinati ad aiutarci.
La prefazione di Sara R. Farris, docente di sociologia alla Goldsmiths University di Londra e autrice di numerose pubblicazioni internazionali, introduce lettrici e lettori a elementi che vengono poi trattati più nel dettaglio nel Manifesto, a partire dal concetto di cura e di altri. Dati Eurostat del 2015 dicono che, su scala europea, in Italia c’è il più alto numero di persone che non sanno a chi rivolgersi per chiedere aiuto in caso di necessità.
Il capitalismo neoliberista ha trasformato le persone in monadi, allontanandole dalla loro naturale essenza sociale. La mercificazione, la convinzione che il privato sia meglio del pubblico, la povertà crescente anche a causa della pandemia da Covid-19 sono tutti elementi che caratterizzano il mondo contemporaneo. La pandemia ha inoltre mostrato ancora di più l’importanza dei lavori di cura: fattorini, rider, personale infemieristico e medico, addetti alle pulizie.
Tra le pagine del Manifesto della cura si parla dell’incuria, in senso lato, prima e durante la pandemia in corso. Si parla di welfare, wellness, selfcare e soprattutto dell’etica della cura promiscua, forme di cura nuove e allargate, al di là di famiglia e logiche di mercato ma appunto messe in atto da “estranei come me”. Occorre pensare un sistema di parentele alternative capace di prendersi cura degli umani e di tutto ciò che è non umano, dunque anche ambiente e animali. Si parla infatti anche di Green New Deal a livello mondiale.
Il Manifesto della cura denuncia l’incuria neoliberista e capitalista ma offre anche tante soluzioni e idee pratiche. A livello interpersonale, di vicinato, urbano e statale. Lo spazio pubblico, lo spazio online, le biblioteche di zona e degli oggetti, l’intraprendenza e la creatività necessarie a trasformare il capitalismo delle piattaforme in cooperativismo delle piattaforme, tutto può concorrere a implementare l’economia della cura.
Il modello Preston (UK) e Cleveland (Ohio), di cui si parla nel Manifesto, sono possibili solo con un supporto strutturale: si tratta di ridare peso ai fornitori locali di servizi, di dare le imprese in mano a lavoratrici e lavoratori, internalizzare anziché esternalizzare i servizi pubblici. Lo Stato di cura non è un’utopia e può sostituire efficacemente quello che ora si definisce Stato sociale ma è necessario le politiche mettano la cura al centro di tutto. Cura in senso ampio, riconoscendo la nostra interdipendenza.
Bellissima la postfazione della giornalista e scrittrice Jennifer Guerra, che riporta il discorso al contesto italiano contemporaneo, al carewashing e alla parola cura usata con piega paternalista nel concetto di #curaitalia, subito sostituito da metafore belliche.
Il manifesto della cura. Per una politica dell’interdipendenza propone una visione femminista, queer, antirazzista, ecosocialista della cura, termine che la pandemia ha riportato al centro del dibattito e, per chi sa vedere oltre, è anche l’unico termine che può sconfiggere tutti gli orrori e gli squilibri creati dal neoliberismo.