Morte non accidentale di un pakistano. Di Mario Di Vito (da Contropiano)
È la storia di un pakistano che muore nell’estate del 2014 a Tor Pignattara. E già, ci spiega Giuliano Santoro nel suo «Al palo della morte» (Ed. Alegre) ci sarebbe da discutere soltanto su questa prima frase: perché abbiamo scritto che è un pakistano? Era davvero necessario?
Forse il suo nome – Shahzad – è troppo difficile da scrivere, forse noi abbrutiti dalla cronaca ormai andiamo in automatico quando succedono certe cose e fondamentalmente non pensiamo a quello che stiamo scrivendo. Forse non è importante o forse è l’inizio di una storia che non vogliamo continuare a scrivere. Nei giorni in cui si fa un gran parlare, spesso a sproposito, delle Molenbeek italiane, questo libro di Santoro torna molto utile. Una riflessione sul tempo, più che sullo spazio: noi e loro dove noi siamo gli autoctoni e loro i nuovi arrivati, e va bene, ma cosa stiamo diventando noi e loro? E perché lo stiamo diventando? E la gentrificazione, cioè quel processo in base al quale la cultura della classe benestante invade i quartieri popolari e li trasforma, cosa c’entra con tutto questo?
Il Pigneto è il simbolo di tutto questo, ma Tor Pignattara, in fondo, è poco distante e uno dei giochi giornalistici più in voga nell’ultimo periodo è il tentativo di rispondere alla domanda su quale sarà il prossimo quartiere romano ad essere gentrificato. «Tutti i processi di gentrificazione hanno bisogno di una versione edulcorata della tradizione, kitsch e accessibile a tutti, moltiplicata dalla potenza archivistica della Rete e sfruttata dal marketing», scriveva Alberto Piccinini parlando del mondiale brasiliano sul Manifesto. Ma si può parlare di gentrificazione della morte? Cioè, fino a che punto il giornalismo è adatto a raccontare tutto questo?
Santoro scrive un libro «del quinto tipo», né un romanzo né un reportage, un po’ tutti e due: c’è la narrazione, e scorre bene, ma c’è anche la volontà un po’ pedagogica del cronista. Da questo casino se ne esce con più domande che risposte, il che a volte è un pregio.
Shahzad venne ammazzato a calci e pugni da un minorenne romano. In arresto ci finì anche suo padre, accusato di concorso e istigazione di omicidio. Punto di vista insolito per cominciare a parlare delle periferie romane che a un certo punto sembravano a un passo dalla rivolta ispirate dalla demagogia di destra, di Mafia Capitale, del caos di una città che nessuno sembra voler amministrare. Si parla anche un po’ di noi in questo libro il cui titolo è ispirato al Carlo Verdone di «Un sacco bello»: le nostre contraddizioni, il fatto che in periferia non c’è niente, i tentati pogrom. E poi di un’operazione culturale che sta riuscendo anche bene: marginalizzare lo spirito di rivolta e le sue basi. Perché la devianza e la marginalità sono i tratti infantili di un sistema che si ritiene perfetto.