Osservazioni su un libro stimolante – Antonio Moscato dal blog “Movimento operaio”
Avevo esitato a scrivere qualcosa sul libro di Mauro Vanetti [La sinistra di destra, Alegre, Roma 2019] sia perché condividevo la breve recensione di Antonello Zecca apparsa sul sito di Sinistra anticapitalista, e in particolare l’affermazione che, “polemizzando in modo brillante e talvolta sarcastico con concezioni e orientamenti estranei alla sinistra di classe, ma entrati prepotentemente nel suo lessico politico a causa della sconfitta del movimento operaio internazionale e della progressiva trasformazione dei partiti socialdemocratici in partiti social-liberali e dei partiti comunisti in versioni più o meno radicali di socialdemocrazia”, Vanetti ripropone la validità degli strumenti del marxismo per la costruzione di un orientamento strategico anticapitalista rispetto ai temi più scottanti della contemporaneità.
Vanetti ripropone la validità degli strumenti del marxismo per la costruzione di un orientamento strategico anticapitalista rispetto ai temi più scottanti della contemporaneità.
Tuttavia la stroncatura del libro di Vanetti su un sito a cui a volte ho collaborato mi ha spinto a rileggerlo ancora un paio di volte. La lettura più attenta ha confermato totalmente il mio iniziale giudizio positivo sul libro, e mi ha spinto a riflettere sul perché di tanta severità di Zorzoli, che ha liquidato il libro come basato sullo “strumento tipico del catechismo marxista, a colpi di citazioni di Marx (talvolta di Engels e di Lenin), avulse dal loro contesto”.
È un’accusa sentita molte volte da dirigenti del Pci, del Psiup e anche poi del Prc, e rivolta abitualmente a chi pretendeva di richiamarsi ai classici del marxismo: le citazioni sarebbero “avulse dal contesto”. Senza accorgersi che in questo caso tutte le citazioni di Marx scelte da Vanetti sono al contrario finalizzate proprio a evitare l’uso deformante fatto dai professionisti della falsificazione. Ad esempio a proposito dell’esercito industriale di riserva, sia i rossobruni, sia i rosa pallido di area Pd riprendono molte denunce marxiane dell’utilizzazione dei pregiudizi anti irlandesi da parte dei capitalisti britannici, ma si guardano bene dal riportare le proposte di Marx (e di Engels) per contrastare l’operazione.
Mi stupiva una deformazione così infondata da parte di un intellettuale che fino agli anni Ottanta aveva goduto di un certo prestigio nella sinistra come studioso, anche se forse su lui ha pesato il coinvolgimento, in quanto dirigente dell’Enel (in quota Pci), in uno dei primi processi di Tangentopoli che rivelarono quanto fosse mutata la sinistra che si era liberata di Marx, e che credeva di aver trovato una strada facile per la conquista di posizioni nell’apparato statale borghese.
Ma la lettura più attenta mi ha fatto notare quello che secondo me è un punto relativamente debole del libro: Vanetti concentra il fuoco in maniera efficacissima, soprattutto con l’arma dell’ironia, su alcuni personaggi minori della sinistra rossobruna, i vari Diego Fusaro, Giulietto Chiesa, Fulvio Grimaldi, Marco Rizzo e altri ancor più marginali, ma c’è il rischio che, sparando sulle “ambulanze”, si risparmino di fatto i principali responsabili, gli esponenti di quello che è stato per decenni il partito egemone nella sinistra). Raramente qualche frecciata è riservata a un Michele Serra o alla Boldrini, senza affrontare però il ruolo determinante di Enrico Berlinguer, e anzi già del suo maestro, Palmiro Togliatti, con l’abbellimento di ogni collaborazione interclassista (realizzata o auspicata). [Sulla indispensabile retrodatazione della trasformazione del Pci da rivoluzionario a riformista accettata da anni da gran parte della stessa sinistra, a partire dal PrcC, si veda tra l’altro sul sito]
Il libro naturalmente non poteva affrontare in modo organico tutti gli argomenti, anche perché non è, e non vuole essere, un “manuale del buon militante”; so bene d’altra parte che Mauro Vanetti non ignora queste tematiche, ma mi sembra ugualmente un po’ sproporzionato lo spazio dedicato alla polemica con un Roberto Vallepiano o un Carlo Freccero, rispetto ai pochi accenni al ruolo pesante della Cgil nella cancellazione di una coscienza di classe, in primo luogo attraverso la concertazione col padronato avviata fin dal lontano 1944, e l’unità a qualsiasi condizione e in qualsiasi periodo con i vertici dei sindacati più moderati e filogovernativi, che ha pesato in molti momenti cruciali: penso ad esempio alla scelta, già nel 1970, di far disperdere il potenziale emerso nell’Autunno caldo con “scioperi generali per le riforme” grandiosi nelle mobilitazioni, ma deludenti per le piattaforme basate su obiettivi inconsistenti e fumosi.
Ammetto comunque che se avesse sviluppato ulteriormente alcuni argomenti toccati appena di sfuggita il libro avrebbe forse perso uno dei suoi pregi, l’essere di gradevolissima e scorrevole lettura.
Speriamo che il suo successo incoraggi a proseguire su questa strada, con altri libri dello stesso autore, o con una collana che riprenda queste tematiche. D’altra parte la stessa casa editrice, negli stessi giorni, ha mostrato di muoversi in questa direzione con un libro forse meno brillante ma efficace, e di fatto complementare: Wolf Bukowski, La buona educazione degli oppressi. Piccola storia del decoro, Alegre, Roma, 2019.