Perché non sono nata coniglio: la storia di Lydia Franceschi, una donna esemplare – Tiziana Ferrario da “La voce di New York”
Lydia Franceschi era la mia professoressa di matematica e scienze… Lungo la strada della vita si incontrano tante persone, alcune non lasciano alcun segno, altre ci prendono per mano e ci guidano per farci capire da che parte sta il male e per che cosa vale davvero la pena lottare…

Ci sono donne che attraversano le nostre esistenze e lasciano un segno profondo che condizionerà ogni nostra scelta. Lydia Franceschi è una di queste. Ero poco più che una bambina, avevo tra gli undici e i tredici anni quando l’ho conosciuta. Era la mia professoressa di matematica e scienze. Entrava in classe come un tornado, severa, ma capace di slanci e passioni. Non sapevo niente di lei e della sua vita travagliata, ma amavo il suo modo di insegnare: ci spiegava radici quadrate e formule chimiche, ma si accalorava anche per la bomba a piazza Fontana e i depistaggi della polizia.
Nessun altro professore ci aiutava a capire il mondo che ci circondava come faceva lei, nessuno si sbilanciava su quanto stava accadendo in quegli anni a Milano, una città dura e cupa segnata dalle stragi e dai continui scontri tra studenti e operai con la polizia che sparava. Erano gli Anni di Piombo, così sono stati chiamati. E quel 23 gennaio 1973 il piombo ha bussato anche alla porta di Lydia Franceschi nel modo più drammatico che una madre possa temere.
Durante una manifestazione fuori dall’Università Bocconi il figlio Roberto, tra i leader del Movimento Studentesco milanese, viene colpito alla testa da un proiettile in dotazione alla polizia. Un’agonia di una settimana e poi l’annuncio della morte di quel giovane di soli 21 anni che credeva nell’uguaglianza, nella forza della cultura e dello studio. Ai suoi funerali parteciparono in migliaia, un mare di bandiere rosse ad accompagnare il feretro con la madre Lydia, il padre Mario e la sorella Cristina impietriti dal dolore.

Da quel giorno la vita della famiglia Franceschi è cambiata e quella di Lydia Franceschi è stata dedicata alla ricerca della verità che non è mai arrivata per quella morte ingiusta. Non si trovò un responsabile e 12 anni dopo la Corte d’Assise di appello decise l’assoluzione del vicequestore Tommaso Paolella. Fu un delitto di stato, perché il colpo era partito da uomini delle forze di polizia e la famiglia Franceschi ottenne un risarcimento di 600 milioni di lire con il quale è stata finanziata la Fondazione intitolata a Roberto e che ogni anno elargisce borse di studio a ragazzi e ragazze impegnati a portare avanti progetti a favore dell’inclusione e dei diritti.
Lo scorso 23 gennaio, pochi giorni fa, nell’annuale cerimonia in ricordo di Roberto, a ricevere il riconoscimento erano tutte giovani donne dottorande. In piedi sul palco Lydia, che ha 97 anni, ha voluto stringere la mano a ognuna di loro e dire “Brava”. È stata una serata speciale perche, per la prima volta in 47 anni dalla uccisione di Roberto, la protagonista è stata lei con la presentazione del libro Perché non sono nata coniglio, che parla della sua vita, curato da Claudio Jampaglia in uscita oggi, 30 gennaio.

“Perché non sei nata coniglio” è una frase che suo padre amava ripeterle. In prima fila nell’aula Magna della Bocconi ha seguito commossa la lettura dei brani che ripercorrono le tappe della sua esistenza. Una vita incredibile spezzata in due dall’uccisione di Roberto. Una vita che andrebbe raccontata in un film.
Lydia nasce ad Odessa sul Mar Nero dove il padre Amedeo comunista aveva cercato rifugio per sfuggire alle carceri fasciste e lì si era innamorato di una donna italorussa, Lidia che faceva l’interprete per i tanti esuli che approdavano in Russia attirati dalle sirene della rivoluzione sovietica. La madre però muore misteriosamente pochi giorni dopo la sua nascita. Amedeo, convinto che l’abbiano uccisa, prende la figlia alla quale ha dato il nome della amata moglie e decide di tornare in Italia, ma il destino ha in serbo altre tragedie per la piccola Lydia.
Il padre verrà ucciso dal cognato camicia nera per ragioni che non saranno mai chiarite e lei resterà orfana all’età di dodici anni. Farà la staffetta durante la Resistenza, riuscirà a studiare e a laurearsi in chimica, e incontrerà l’amore della sua vita Mario dal quale avrà due figli Roberto e Cristina che ora porta avanti la Fondazione.
Il libro ripercorre l’impegno di una donna che non ha mai smesso di lottare per migliorare la nostra società, che è stata sempre al fianco dei giovani, dei suoi studenti e delle sue studentesse, perché loro sono il nostro futuro. Ci sono i suoi scritti originali, le lettere che ha inviato negli anni per chiedere giustizia, quella delle sue dimissioni quando sceglie di lasciare l’incarico da preside perché la fiducia nelle istituzioni è venuta meno.

C’è la continua ricerca della verità su chi ha ucciso l’adorato figlio, in un’Italia dove gli insabbiamenti, i depistaggi e i misteri non sono mai finiti, neanche oggi come il caso Cucchi ci ha dimostrato. Un libro al quale hanno contribuito 23 autori ma scritto come fosse un romanzo che ci fa fare un salto nel passato, ci fa provare rabbia e commozione e l’altra sera in Bocconi erano in tanti ad avere gli occhi lucidi nel ricordare la violenza che ha insanguinato il nostro paese, senza che i veri colpevoli abbiano pagato.
Lungo la strada della vita si incontrano tante persone, alcune non lasciano alcun segno, altre ci prendono per mano e ci guidano per farci capire da che parte sta il male e per che cosa vale davvero la pena lottare. Sono stata fortunata ad incontrare Lydia Franceschi quando ero all’inizio del mio cammino nella vita. E’ stata un esempio. Non finirò mai di ringraziarla.