Qualcosina sul calcio, partendo da “Uccidi Paul Breitner. Frammenti di un discorso sul calcio” – Andrea Consonni da “Wrong”
Dopo esserci lasciati finalmente alle spalle i Mondiali di calcio fra meno di un mese si tornerà a giocare nei massimi campionati europei (in Svizzera sono già state disputate due giornate ed è già partito da tempo il carrozzone delle coppe europee) ma intanto abbiamo già avuto un lungo antipasto indigesto con la caciara attorno all’arrivo di Cristiano Ronaldo alla corte degli Agnelli e poi le penalizzazioni, lle retrocessioni, i fallimenti.
Intanto mi succede di leggere uno splendido libro di Luca Pisapia, Uccidi Paul Breitner. Frammenti di un discorso sul pallone (Alegre), che mi ripulisce da tutto questo orrore, dall’imperante dimenticanza, perché se ti azzardi a mettere in dubbio il sistema calcio tifosi e accoliti vari ti rispondono sempre: “Non sei obbligato a seguirlo. Segui qualche altro sport e non rompere i coglioni! Quanto sei pesante!”.
L’autore descrive perfettamente (senza dimenticare quanto di bello c’è nel gioco del calcio e quanta magia possono trasmettere alcuni allenatori e calciatori) un sistema calcio che è marcio dalle fondamenta da sempre, ricordando a tutti come non sia mai stato un gioco ma un dispositivo di controllo delle masse, agente attivo e distruttivo di trasformazioni sociali, giro d’affari e corruzione, sempre a braccetto con le dittature. Impossibile ignorare cosa siano sempre stati i Mondiali di Calcio, dove/come/perché sono stati giocati.
Perché una cosa sono i campetti dove da bambini abbiamo tirato i primi calci al pallone (ma perché l’abbiamo fatto?) e un’altra il Calcio.
Questo di Pisapia è un libro prezioso, doloroso e commovente, che mescola in maniera appassionante narrativa/saggio/ricostruzione storica (da brividi i passaggi sulla Rote Armee Fraktion) e che non ha nulla a che vedere con lo spettacolo da playstation proiettato in televisione, su Sky, Premium e di cui si discute nei vari talk show e si scrive sui vari giornali/siti sportivi.
È una boccata d’ossigeno come quella di Romario, calciatore che per indole mi somigliava molto, e che una volta svestiti i panni temporanei del calciatore indossati sempre malavoglia, è diventato un politico del Partito Socialista Brasiliano e leggete qui:
«Lavora, il Romario politico. Presenta dossier e interrogazioni parlamentari sulla corruzione negli appalti e nella realizzazione delle infrastrutture per i mondiali di Brasile 2014. Partecipa a manifestazioni e sit-in in difesa degli sloggiati delle favelas e contro lo spreco dei soldi pubblici sottratti a scuola e sanità. Se la prende con Pelé, accusato di connivenza col potere, con Ronaldo, colpevole di aver promesso ingressi gratuiti ai portatori di handicap e di essersene dimenticato, con Joseph Blatter, presidente della Fifa e ladro, con Ricardo Teixeira, ex presidente della Federalcalcio brasiliana e corruttore, con José Maria Marin, attuale presidente della Federalcalcio brasiliana e assassino. Lavora, il Romario politico. Il deputato Romario de Souza faria getta il sale sulle vene aperte dei rapporti tra calcio e dittatura in Brasile. Raccoglie e porta in parlamento la denuncia di Ivo Herzog, figlio del giornalista Vladimir Herzog. Perché il deputato Romario de Souza Faria, il calciatore che in campo non sudava mai ed eccedeva le regole dell’attrazione del gioco, a differenza di Pelé e di Ronaldo, non accetta che a capo della Federalcalcio brasiliana e a capo del Comitato organizzatore dei Campionati mondiali di brasile 2014 ci sia uno “sporco assassino” del calibro di José Maria Braun. Il deputato documenta come un giovane José Maria Marin, allora semplice consigliere comunale a Sao Paulo nelle file dell’Arena, il partito del regime, nel 1975 si presenti in aula per leggere una durissima requisitoria contro il nemico della patria, il giornalista Vladimir Herzog. E delle circostanza in cui, solo sedici giorni dopo, il giornalista Vladimir Herzog finisca nelle mani di Sergio Fleury, ispettore del Dops (Departamento de Ordem Politica e Social) e sodale di Marin, per poi essere torturato con brutalità e quindi ucciso. Lavora, il Romario politico. E nel 2013, dopo aver consegnato i documenti in parlamento, dal certificato di morte di Vladimir Herzog è cancellata la parola “suicidio” e aggiunta la dizione di “torturato a morte”». (pp. 169-179)
Poi certo come dice anche l’autore, torneremo a seguirlo, ma stampiamoci in testa queste parole prima di andare allo stadio, guardare una partita, sbavare per calciatori impalpabili:
«Il calcio nasce già moderno. Come merce, come dispositivo di controllo, a metà del diciannovesimo secolo. Non ha bisogno di cambiare. Evitate narrazioni consolatorie, sfuggite alla falsa nostalgia dei bei tempi. Lavorate sulle sue contraddizioni. Fatele esplodere. Lo sguardo bambino in conclusione è la speranza, l’utopia. Il dialogo finale è la miccia. A ciascuno il compito di piazzare detonatori, ovunque». (p. 284)
Vi lascio un altro passaggio per farvi capire di cosa si tratta:
«Portato alla nazionale azzurra il trofeo che manca dai terribili fasti del fascismo, come e più di Talleyrand che passa dall’organizzare la rivoluzione a realizzare la restaurazione, Italo Allodi attraversa indenne l’autostrada A4 Milano-Torino del potere calcistico e approda alla corte della famiglia Agnelli. Italo Allodi legge Michel Foucault quando scrive che “il nocciolo del potere diviene il biopotere, il potere che si esercita positivamente sulla vita, nel senso che la gestisce, la potenzia, la plasma riuscendo a regolarla e controllarla in modo semplice più capillare e preciso. Suo oggetto è il corpo dell’individuo e il corpo-specie della popolazione; le discipline del corpo e i saperi che mirano a regolare la popolazione costituiscono i due poli attorno ai quali si è sviluppata l’organizzazione del potere sulla vita”. E comprende che il calcio è l’apparato ideologico più funzionale a produrre nuovo senso.
A Torino Italo Allodi compie il suo capolavoro intervenendo sui corpi per operare una decisiva rivoluzione semiotica nel linguaggio delle affettività calcistiche. Alla Juventus allestisce una squadra composta da calciatori provenienti dai quattro angoli della penisola, soprattutto del Meridione, cosicché qualsiasi operaio, deportato dal profondo sud a Torino per essere sfruttato a sangue nelle catene di montaggio della Fiat, abbia un conterraneo in maglia a strisce bianconere su cui proiettare i propri desideri di identificazione e rivalsa sociale. Al proletario che ogni mattina si sveglia oppresso dalla fatica dell’industrializzazione, assordato dai cingoli della produzione meccanica, abbagliato dalle luci dei turni di notte della fabbrica e schiacciato dall’insostenibile pesantezza della nebbia padana, è permesso trasferire i desideri umani di libertà e appartenenza allo stesso modo in cui le dinamiche sociali di fatica e ricompensa non appartengono più all’intera squadra intesa come collettivo quanto all’immagine proiettata su di esso dal singolo calciatore della squadra. Quello proveniente dalla stessa regione, magari dal paesino limitrofo. Alla nuda vita del proletario meridionale deportato nelle fabbriche concentrazioniste del nord, spogliata di ogni dignità politica, è offerta in sacrificio l’identificazione con il conterraneo». (pp. 81-82)
E dopo averlo letto tutto questo libro capirete anche come sia venuto il momento di dire No alle Olimpiadi.
E anche di come facciano veramente schifo gli stadi con tutti i posti a sedere e di come c’è poco, davvero poco, che possa essere salvato del calcio di oggi.
Da Wrong