Quel memoir politico in Campidoglio – Giuliano Santoro da il manifesto*
Con la recente svolta moderata, quella del «governo a tutti i costi», Luigi Di Maio riesce in un’operazione niente affatto scontata, per di più senza colpo ferire: traslocare la rabbia antipolitica e la sfiducia assoluta verso la rappresentanza in un contenitore assolutamente neutro. «Non c’è differenza tra i nostri programmi e quelli degli altri partiti», dicono i grillini in questa campagna elettorale, «solo che noi siamo credibili».
Da qui deriva la promessa di «stabilità» e «governabilità». Per comprendere questo slittamento politico non si può prescindere dall’esperienza fatta dall’amministrazione grillina della capitale del paese. Partendo da una scena, quella di una grande assemblea che si svolse in una piazza del quartiere di San Lorenzo.
Si era all’inizio dell’estate del 2016. La sindaca Virginia Raggi era stata da poco eletta. Movimenti e associazioni romane avevano deciso di sfidarla con generosità e spregiudicatezza su un terreno che ritenevano le fosse congeniale: la difesa dei beni comuni e la partecipazione dal basso. Il baricentro dell’operazione era l’assessore all’urbanistica Paolo Berdini, che aveva deciso di accettare la scommessa di entrare a far parte della neonata giunta grillina e che a quella assemblea di piazza partecipò.
La storia di questa scommessa perduta è narrata in Roma, polvere di stelle (Alegre, 176 pp., euro 14). Il volume di Berdini, da oggi in libreria, è una sorta di memoir politico di 240 giorni in Campidoglio, un racconto che illumina le zone opache della via pentastellata alla gestione del potere. L’autore è convinto che l’unica via d’uscita dalla crisi di Roma e del paese intero sia «la ricostruzione del volto pubblico delle città». Tiene lo sguardo alto, non si perde in gossip amministrativi e non scade nell’aneddotica fine a se stessa. La testimonianza del graduale scadimento coincide con la successione suggestiva e inquietante dei sindaci-ombra che affiancano la prima cittadina: i troppi re di Roma sono esponenti del partito-Casaleggio, attori di maneggi poco chiari, personaggi in continuità col vecchio potere. Descrivendoli, Berdini interagisce con le genealogia dei mali di Roma, con la fine dell’urbanistica e la sbornia del mattone neoliberista. Ecco allora che l’idea che i Cinque Stelle potessero far parte di uno «schieramento politico e culturale» più ampio si scontra col misto di arroganza, insicurezza e mancanza di autonomia politica e culturale che spinge gli amministratori a negare qualsiasi interlocuzione con la città.
La maggioranza eletta dalle periferie, ecco la dislocazione sociale analoga a quella nazionale, finisce per privilegiare il dialogo con gli studi legali del centro storico, coltivare l’ossessione per i posti nelle aziende municipalizzate. E per confondere, in una circostanza che giustamente Berdini riconosce come foriera di ogni degenerazione, la sfera tecnica con quella comunicativa, il lavoro amministrativo dell’assessore con le strategie elettorali del partito. Prima di gettare la spugna, Berdini si immerge nelle mappe e redige il piano “Un tetto per tutti” per risolvere l’emergenza abitativa: il dossier si dipana tra autocostruzione, riuso del patrimonio pubblico (a partire dalle caserme) ed edificazione di nuove case popolari in lembi di terreni comunali.
Raggi lo blocca in nome del rifiuto del consumo di suolo. Berdini ribatte che quella stessa giunta sta autorizzando una cementificazione per centinaia di migliaia di metri cubi. Si arriva a quella che l’assessore ormai assediato da cerchi magici e vecchi e nuovi poteri considera il culmine: la grande opera del nuovo stadio della Roma, «la più grande speculazione urbanistica che Roma abbia mai conosciuto».
Che la sindaca abbia scagliato una formula ambientalista (il no al consumo di suolo) contro la proposta di Berdini è indice dello specchio deformato davanti al quale ci troviamo ogni volta che scrutiamo le faccende grilline.
Il Movimento Cinque Stelle offre di volta in volta la perversa rappresentazione di una contraddizione irrisolta o di un conflitto mal digerito degli ultimi decenni. Ecco perché, per usare la definizione di Paolo Virno a proposito dei populismi, siamo davanti a un «doppio orribile». Il giornalista Jacopo Iacoboni da anni segue con scrupolo millimetrico le vicende del Movimento Cinque Stelle, dapprima con spirito positivo poi con critiche via via più dure.
Nel suo L’Esperimento (Laterza, pp. 248, euro 16) raccoglie dati, circostanze, scenari. Ma a volte le rotelle paiono girare nel vuoto della rappresentazione, non riescono ad incrociare gli addentellati sociali. Il congegno messo in piedi da Berdini lavora da un punto di vista diverso. Il suo corpo a corpo con i sette re della Roma di questi tempi è tutt’uno con la difesa della città pubblica. E ci insegna a guardare negli occhi il nostro «doppio orribile».
*Fonte: https://ilmanifesto.it/un-memoir-politico-in-campidoglio/