“Radio Alice, le botte, la polizia. Una scommessa vinta nell’etere e tutta una vita nel Movimento ” – La Repubblica
Intervista a Valerio Minnella di Sabrina Camonchia per Repubblica Bologna
«Io sono la scusa per raccontare alcuni momenti di attivismo costruito dal basso, che hanno inciso nella quotidianità e nelle idee di quel periodo e non solo». Non c’è supponenza o arroganza nelle parole di Valerio Minnella, bolognese, 72 anni, alle spalle una vita ribelle e libertaria da militante non violento, obiettore di coscienza, voce di Radio Alice e di quell’esperienza delle Telestreet, poi mangiate dalle televisioni commerciali. Quasi controvoglia o quantomeno poco convinto, spinto dall’entusiasmo di Wu Ming 1 che nella sua vicenda biografica ha visto lo spaccato di un pezzo della storia d’Italia, Minnella si è raccontato nel libro “Se vi va bene bene se no seghe – Dall’antimilitarismo a Radio Alice e ancora più in là” edito da Alegre. Dell’impresa, durata tre anni di conversazioni e registrazioni, fa parte anche l’attivista transfemminista Filo Sottile che ha dato un contributo fondamentale alla rielaborazione della biografia.
Minnella, sfogliando il libro, lontano da qualsiasi operazione nostalgia, si legge ancora l’entusiasmo dei suoi anni di gioventù.
«Il libro nasce da un mio rifiuto a Wu Ming 1. Poi mi sono lasciato convincere perché la mia vita interseca 50 anni di attivismo. Ho pensato che fosse la scusa per raccontare che si può fare, è un tentativo di rilancio, parla ai giovani, per questo non c’è nostalgia. Non per caso, infatti, dedico il libro alle nuove generazioni: è per loro che ha senso raccontare».
Il titolo fa riferimento al celeberrimo sgombero da parte delle forze dell’ordine di Radio Alice, siamo nel marzo 77. Ai microfoni, a pronunciare quella frase, c’era lei.
«Sono stati giorni incredibili, la morte di Francesco Lorusso qualche ora prima, l’irruzione nella sede della Radio al Pratello, il nostro arresto, le botte in questura. Lì per lì, in mezzo a quella confusione, decido di mettere una canzone, una musica qualsiasi e mi esce questa frase: “Se vi va bene bene, se no seghe”».
Cosa rappresentava per lei Radio Alice, una delle più incisive del panorama dell’etere libero?
«È stata una scommessa che abbiamo vinto. Cercavano parlatori, non ascoltatori, così è successo. La radio viveva di un suo flusso continuo, aveva una vita propria, oltre ogni immaginabile palinsesto».
La sua vita da militante, in realtà, comincia anni prima: nel ‘77 lei aveva già 26 anni, ma fin da ragazzo aveva scelto da che parte stare.
«Non so perché mi sono trovato sempre immischiato in certe situazioni, in fondo le ho affrontate e vissute di petto perché pensavo fosse giusto, quasi inevitabile. Fin dalla scelta dell’obiezione di coscienza contro il servizio militare che ho pagato sulla mia pelle perché, come per Radio Alice, sono finito in carcere. Ma, insieme a tanti altri giovani che si sono battuti con me, siamo arrivati al servizio civile che poi io ho fatto nel 1974, a Trieste, all’ospedale psichiatrico dove Franco Basaglia stava scardinando, in modo pionieristico, un sistema oppressivo di sanità».
La sua vita, però, è tanto altro, scandita capitolo dopo capitolo. C’è anche l’esperienza di Telestreet, 25 anni dopo Radio Alice.
«Al contrario della radio, penso che Telestreet sia stata una scommessa persa. Per vincerla, avremmo dovuto creare un polo di migliaia di piccole tv, ma così non è stato: fare radio costava poco, le frequenze erano allora libere, invece l’etere per le tv di strada era già tutto occupato dai soliti noti, a noi restavano solo coni d’ombra».
Cosa fa oggi?
«Dopo una vita a fare l’informatico, mi godo la pensione e la mia barca».