Recensione di Paolo Ferrero su Liberazione
UN NUOVO MOVIMENTO OPERAIO, OVVERO LA CENTRALITA’ DEL LAVORO
Il libro di Marco Bertorello, Un nuovo movimento operaio uscito da qualche settimane per le Edizioni Alegre (192 pg. 9,5 euro, prefazione di Giorgio Cremaschi), ci propone con una analisi densa ed approfondita, una tesi di fondo. Il lavoro in questi anni non è sparito ma si è trasformato. Conseguentemente il libro si muove su due piani. Da un lato ci accompagna attraverso le modifiche subite dal lavoro in questi anni, sia sul versante della globalizzazione capitalistica che su versante della flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro. In secondo luogo il libro prende di mira e polemizza con le più note teorie della fine del lavoro e affronta poi criticamente alcune delle teorie oggi più discusse, dal nodo della moltitudine di Negri alle elaborazioni sul terzo settore di Marco Revelli.
Un libro quindi che affronta il nodo del lavoro sia sul piano empirico che su quello teorico.
Un dato di fatto
L’autore sottolinea non solo come il lavoro continui a rimanere al centro della riproduzione sociale complessiva ma come questo avvenga proprio nella forma del lavoro salariato. In particolare mi pare interessante sottolineare un dato citato nel libro; se nel ’90 la quota di lavoratori salariati sul totale dei lavoratori in Europa era pari all’81% del totale, nel ’95 questo dato è passato all’82% e nel 2000 al 83%. Il libro ci conferma quindi che parlare di fine del lavoro salariato è – come sospettavamo – in primo luogo una stupidaggine.
L’ultimo capitolo del libro, che si intitola «Strategie per un nuovo movimento operaio», sottolineando la necessità di costruire un tessuto di coordinamento internazionale, prova quindi ad avanzare una serie di proposte, basate sulla lotta per la riduzione dell’orario di lavoro, per il salario sociale e contro la precarietà, per l’aumento dei salari e per l’introduzione della Tobin tax.
L’obiettivo di fondo che il libro ci pone è quindi quello della riunificazione del lavoro a partire dal riconoscimento della precarizzazione dello stesso. Il problema, ci dice l’autore, «è la capacità di ipotizzare un nuovo assetto socio-economico, estraneo alle logiche di fondo del mercato, certamente facendo tesoro delle esperienze passate e dei tentativi fallimentari precedenti, ma allo stesso tempo con l’intento di porre al centro principi quali l’umanità, la socialità, la reciprocità e la conoscenza disinteressata in una rinnovata ricerca di cambiamento». Non si può che convenire.
Strategie a confronto
Proprio a partire da questa considerazione provo ad accennare all’unico rilievo che mi sento di fare al libro. Nella parte relativa al terzo settore mi pare un po’ rigido. Condivido con l’autore la necessità di denunciare l’uso capitalistico del terzo settore al fine di ridurre il costo del lavoro e il welfare. Il workfare è l’esito regressivo di un certo tipo di terzo settore. Credo che però andrebbero colti anche gli altri elementi che caratterizzano il terzo settore – che non è riducibile alla cooperazione – e che ne fanno un fenomeno assai articolato, sia strutturalmente che soggettivamente. Credo che il terzo settore vada analizzato non come buono in se o cattivo in se, ma come un terreno ove coesistono ipotesi, pratiche e culture tra loro diverse quando non antagoniste; il terzo settore è un terreno di scontro di classe e per questo serve una analisi marxista che ne colga gli elementi dialettici e contraddittori. Ho citato questo esempio per sottolineare un dato. A mio parere la tesi di fondo del libro, che schematicamente definisco della “centralità del lavoro” è corretta; è però necessario proseguire un lavoro di scavo e di ricostruzione di un livello di dibattito che permetta di articolarla ulteriormente, proprio per farla vivere in relazione alle diverse contraddizioni che attraversano il capitale e i percorsi di costruzione di una soggettività antagonista.
In qualche modo il libro ci richiama ad un compito: alla necessità di ricostruire un “marxismo creativo”, che evitando le “grandi narrazioni” di tipo metafisico – che hanno caratterizzato la pubblicistica degli ultimi anni – sappia però cogliere in modo più netto il carattere contraddittorio e dialettico dei fenomeni sociali e della gigantesca fase di transizione in cui siamo immersi.
Paolo Ferrero