Renzo Stefanel su Rock.it
di Renzo Stefanel
La prima cosa bella di questo saggio di Diego Giachetti su “Casco d’oro” è che non è la vita di una santa. Cioè non cade nel peccato originale dei libri di musica dedicati a un’artista: dimostrare quanto bella, buona e santa (o puttana, è lo stesso) più tutte/i è o è stata. Giachetti infatti costruisce intorno alla diva beat un ritratto d’epoca, sociale e musicale, che è davvero un bel leggere. Inquadrata la situazione a tanti anni di distanza, lontano dalle celebrazioni d’epoca della generazione dei quasi sessantenni di cui francamente non se ne può più, quello che ne esce è un bel libretto che si fa leggere con gusto e attenzione, portando il lettore a capire cosa avesse la Caselli di così speciale. Una valenza pre-femminista, innanzitutto, senza pretese di primogenitura: non essendo questa la vita di una santa, Giachetti inserisce onestamente la Caselli in una strada che era già stata aperta da Rita Pavone, quando faceva la cantante e non il pupazzetto elettorale. Altra cosa ben riuscita del libro è la ricostruzione della dimensione d’autore che anche gli interpreti puri come la Caselli avevano presso il pubblico giovanile d’epoca: i testi delle canzoni precorrevano e quasi indicavano la strada verso nuovi comportamenti sociali già agiti all’estero o dai giovani più d’avanguardia. La figura stessa della Caselli, giovane ribelle all’italiana, che osa chiedere nei timorati anni 60 la libertà di “provare” più ragazzi prima di scegliere quello giusto, che agli inizi si veste da Robin Hood e quindi da maschietto, è emblematica di quella ribellione da parrocchietta che fu il beat: quando sposa Piero Sugar, figlio del suo discografico, si ritira dalle scene. A far la mamma. Come dire: ribellione importante, fondamentale. Ma in fin dei conti una variazione sul tema, un aprire la finestra per far entrare aria piuttosto che andarci a vivere, all’aria aperta uscendo di casa. Ragazza di provincia, che si è fatta da sé, fidando sui suoi meriti, alla fine ritorna (come fece l’Italia tutta) nell’alveo della tradizione. Molto bella la ricostruzione degli inizi di carriera, meno sviluppata quella dell’apice del successo, finendo infine per sacrificare un po’ la musica (ma si fa in tempo a ricordare che ai suoi inizi la Caselli apparteneva all’ala dura del beat) e un po’ i gossip di cui fu circondata. A me, che amo alla follia le storie da Rock Babilonia, vedere una parola sulla presunta e chiacchieratissima bisessualità a preferenza lesbo della Cat, avrebbe fatto piacere: visto che per di più si tratta di un’icona gay, seppur minore, sapere se eran solo pettegolezzi falsi o c’era un fondo di verità, e quale, nel caso (il costume da Robin Hood o qualcosa di più?) avrebbe fatto piacere. Ma il taglio sociologico del libro, pregevolissimo, vola alto su queste questioni. Rimane un bel libro, uno spaccato d’Italia utile anche per capire (un po’) l’oggi.