Salviamo la Resistenza – Roberto Esposito su Robinson
Per ricondurla alla sua valenza storica e difenderla dai detrattori va sfrondata dal mito È la tesi del saggio di Luca Casarotti
Roberto Esposito – Robinson – 7 gennaio 2024
La Resistenza ha sempre costituito un tema controverso nel nostro dibattito politico. Situata all’origine della Costituzione, è considerata dagli uni esperienza fondativa della Repubblica, dagli altri inadatta a cementare una comunità nazionale, perché espressione di una guerra civile che ha radicalmente diviso gli italiani. Ma non è nata dalla guerra civile la democrazia americana e, ancora prima, la repubblica francese? Certo, quella tedesca non è passata per una guerra civile, ma solo perché in Germania non c’è stata reale resistenza al nazismo. Quel Paese ha comunque conosciuto un contrasto asprissimo tra le due parti in cui è stato diviso nella stagione della guerra fredda. E da cui, alla caduta del Muro, è uscito saldamente unito.
Insomma non è affatto detto che uno Stato democratico, saldato da valori e interessi comuni, debba generarsi da una memoria condivisa. Si può inaugurare una nuova storia senza per questo condividere la medesima memoria o la stessa interpretazione degli eventi passati. È la tesi intorno alla quale ruota il saggio di Luca Casarotti L’antifascismo e il suo contrario (Alegre edizioni). Il libro solleva questioni diverse, discutendo criticamente una serie di autori e testi — da La morte della patria di Ernesto Galli della Loggia (Laterza) a Ma se io volessi diventare una fascista intelligente? di Claudio Giunta (Rizzoli), a Contro l’impegno. Riflessioni sul bene in letteratura di Walter Siti (Rizzoli). Ma la linea di fondo che li congiunge in una trama comune è il carattere necessariamente di parte della prospettiva politica e storica. Perché i due ambiti, storico e politico, pur non coincidenti, non sono mai astrattamente separabili. Come afferma anche Galli della Loggia, da un punto di vista lontano da quello dell’autore, l’uso politico dei fatti storici non è l’eccezione, ma la regola.
Ciò non vuol dire che non si possa aspirare a una conoscenza veritiera del passato. Ma solo prendendo le distanze dalla doppia tendenza all’apologia e al pregiudizio ideologico. Precisamente questo è il duplice rischio cui è esposta la polemica sull’antifascismo. Storia e politica non vanno disgiunte, ma neanche sovrapposte. Altrimenti, se l’uso politico di un concetto dovesse limitarsi al tempo in cui è stato elaborato, non dovremmo più servirci di vocaboli di cui invece continuiamo a fare largo uso — per esempio quello di “populismo”. E non si è a lungo adoperato, anche in Italia, l’anticomunismo in chiave polemica quando il comunismo era da tempo alle spalle?
Ciò vale anche per la categoria di antifascismo. Gli argomenti avanzati dai suoi critici sono sostanzialmente due. Da un lato essa appare divisiva rispetto alla comunità degli italiani; dall’altro è dichiarata anacronistica dal momento che ormai il fascismo — almeno quello del Ventennio — è finito. In tal modo, però, si schiaccia un paradigma politico, ancora fornito di potenziale critico, su un dato storico esaurito. In realtà, nell’attuale situazione italiana, in cui un partito post-fascista è al governo, gli intenti dei critici dell’antifascismo, tutt’altro che storiografici, sono essi stessi politici. Essi cercano di legittimare se stessi, mentre delegittimano al contempo quelli che ripropongono il repertorio antifascista.
Da questo punto di vista il libro, esplicitamente militante, di Casarotti si inserisce in un filone che va dai saggi di Claudio Pavone sull’antifascismo a La crisi dell’antifascismo di Sergio Luzzatto (Einaudi). Ma forse il suo lato più originale sta nella decostruzione della Resistenza come mito a favore della sua specifica dimensione storica, con tutte le difformità e le antinomie che questa comporta. Dopo un ventennio di violenta polemica anti-partigiana, la Resistenza ha assunto una connotazione mitica, fatta propria anche dalla destra, come forma di sublimazione eroica e celebrazione del culto dei morti.
In questo modo, attraverso un uso astorico dei simboli, si perdono i tre elementi della Resistenza che vanno tenuti distinti — quelli di lotta allo Stato-fantoccio di Salò, di liberazione dall’occupazione nazista e di lotta di classe comunista. Da qui il giudizio equanime di un libro di parte: se il paradigma di antifascismo va difeso dai suoi detrattori, va protetto anche da un’indebita mitizzazione.